Lina Bianconcini
nacque a Bologna il 21 marzo 1886 e sposò il conte Francesco
Cavazza.
Questa nobildonna
bolognese è stata una gran sostenitrice del merletto, facendolo
conoscere in tutto il mondo. Infatti, ne seppe trasformare la
lavorazione in un’attività imprenditoriale ad alto livello,
partecipando a mostre prestigiose e confezionando veri gioielli
per nobili e facoltose di tutto il mondo.
Ma non si limito’
a questo.
La contessa nel
1915, fin dai primi mesi dall’inizio della Grande Guerra,
promosse, assieme ad altre nobildonne bolognesi, la costituzione
dell’Ufficio per le notizie alle famiglie dei militari di terra
e di mare.
Esso fu
riconosciuto ed approvato dai Ministeri della Guerra e della
Marina che vi distacco’ alcuni ufficiali ed emano’ un apposito
dispositivo per assecondarne l’opera.
La circolare n. 471 del 18 giugno
1915 del ministero della guerra ("Comunicazioni nominative delle
perdite di militari in seguito ad operazioni di guerra")
determinò che i comandi dei corpi, dei reparti e servizi
mobilitati avrebbero dovuto trasmettere ai depositi o ai centri
di mobilitazione un elenco per nome dei militari morti, feriti e
dispersi.
La sede centrale dell’Ufficio fu posta a Bologna (in Via Farini
3) e sezioni in tutte le sedi di Corpo d’armata territoriali e
vale a dire ad Alessandria, Ancona, Bari, Firenze, Genova,
Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Verona (e anche nelle
città di Cagliari, Catanzaro e Venezia).
Nella sezione di Roma fu unito un Ufficio centrale per le
informazioni riguardanti, le famiglie dei militari di mare.
Nelle circoscrizioni di ogni sezione furono istituite
sottosezioni in tutte le sedi di distretti militari, di depositi
o centri di mobilitazione, ospedali con oltre cento letti.
Particolarmente
meritevole e degna di nota fu l’azione delle sezioni e
sottosezioni delle zone direttamente coinvolte nel conflitto (o
ad esse contigue); in molti casi l’ente allestì sezioni
temporanee presso il fronte di guerra, allo scopo di veicolare
informazioni anche a quei soldati che ebbero parenti o amici in
zone di guerra molto lontane dalla propria.
Le sottosezioni erano rette da un consiglio di presidenza,
coadiuvato da autorità locali, possibilmente militari. Il
consiglio raccoglieva le notizie dagli ospedali per mezzo
d’apposite visitatrici, ritirava gli elenchi dei morti e feriti
dai depositi e centri nobilitati, riceveva dalla propria
sottosezione di distretto le notizie richieste, provenienti
dall’Ufficio centrale e dalle altre sottosezioni di distretto.
Le sottosezioni avevano poi il compito di comunicare gli elenchi
(ritirati dai depositi e dagli ospedali) all’Ufficio centrale
trasferendo i dati su apposite schede trasmesse dall’Ufficio
stesso. Riceveva inoltre le domande dalle famiglie, rispondendo
con propri elementi oppure facendo ricerche.
AD ogni sezione o sottosezione fu fatto divieto assoluto di
pubblicare, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo,
integralmente o parzialmente, numericamente o nominativamente,
gli elenchi dei militari morti, feriti e dispersi che, su
richiesta, erano comunicati agli enti dai depositi, dai centri
di mobilitazione e da altre autorità militari.
Le notizie
concernenti i prigionieri erano curate dalla CroceRossa che
provvedeva periodicamente a scambiare con l’Austria Ungheria gli
elenchi dei prigionieri d’entrambi gli eserciti.
Alla fine del
conflitto la contessa Cavazza propose il deposito presso
l’Archivio del Regno e gli Archivi di Stato di Roma e Bologna
della documentazione dell’Ufficio centrale.
In particolare i
primi due istituti avrebbero ricevuto i carteggi ed un esemplare
dello schedario generale del quale una copia rimase a Bologna,
dove si trova ancora oggi.
I depositi
avvennero nel 1923 una volta conclusa la pubblicazione
dell’elenco dei militari morti provenienti dalla provincia di
Bologna.
L ‘archivio
dell’ufficio centrale si trova oggi nei sotterranei
dell’Archivio Centrale dello Stato a Roma, non ordinato, in
condizioni di inagibilita’ per via dell’ enorme strato di
polvere che vi si è stratificato.
Esso contiene
probabilmente le schede delle sottosezioni nonche’ quelle
relative ai prigionieri di guerra di entrambe le parti in
conflitto e dei profughi.
Un archivio
prezioso la cui indisponibilita’ non consente ne’ le ricerche
sulle persone ne’ la ricostruzione di aspetti rilevanti della
storia della Grande Guerra.
In altri Paesi un
deposito tanto grande avrebbe costituito motivo d’orgoglio e di
fonte storica messa a disposizione dell’umanita’. In questo
Paese la politica d’attenzione verso la storia vera, quella dei
documenti, è messa da parte per privilegiare la corsa all’ uso
mediatico e creare immagini delle quali nessuno si ricordera’.
Migliore è lo
stato dello schedario conservato a Bologna, nella sede
dell’Archivio di Stato, costituito da circa 500.000 schede
contenute in 157 cassette di legno.
Le schede,
prestampate, contengono gli spazi per la registrazione del nome
del militare, paternita’, grado ,matricola, arma, reggimento,
battaglione,compagnia, classe, luogo di dimora, luogo, data
della morte e particolari, documento comprovante la
morte e relativa data, richiedente (familiare o altri).
E’ raro che le
notizie siano tutte presenti come ho potuto constatare
personalmente in entrambi i due archivi descritti.
La sede centrale
di Bologna cessò le attività il 1°Luglio 1919 con una cerimonia
che si aprì con la relazione della contessa Cavazza della quale
è interessante trascrivere alcune parti:
" Solenne è di sè
stessa questa adunata, che rinnova quella di donne che con cuore
ansioso e tenero vennero ad offrire ciò che potevano offrire in
aiuto ai fratelli in armi, nel terribile momento che Italia
tutta fu in piedi. Offrirono il loro amore, la loro pietà, il
paziente, angosciato lavoro. Ben poca cosa in confronto di chi
potè dare la vita, ma grande cosa per il sentimento che spinse
all’ aiuto di chi dolorava, di chi era in ansia, di chi,senza
conforto, avrebbe forse disperato!.
Questo d’oggi è il
simbolo di ciò che successe allora in Italia . E come un rito
questa nostra cerimonia si è venuta compiendo ovunque sono
uffici, attestando così che uno fu lo spirito che ci guidò e ci
tenne unite come fra le maglie di una rete, che legandoci ci
rese forti"
"Per quattro anni
il piccolo esercito delle nostre volontarie ( sono circa 25.000
in Italia) compì la sua missione pietosa con fede nei destini
della Patria,con amore verso i combattenti e le loro famiglie"
La relazione
prosegue raccontando il modo in cui all’Ufficio di Bologna
pervenivano le notizie " dai corpi mobilitati e dagli
stabilimenti militari da campo, per quattro anni, senza tregua
affluirono ogni giorno per mezzo dei cappellani militari, ai
quali voglio arrivi la mia parola riconoscente e piena di
ammirazione per l’immane lavoro compiuto scrupolosamente e con
profonda cristiana pietà, sotto la guida del loro Vescovo"
L’ufficio provvide
ciascuno di loro di un blocco di moduli, colle, fascette,
l'indirizzo e una matita. Essi li riempirono quotidianamente con
notizie prese sul campo, appena terminato il forte della
battaglia, o nelle baracche di un’ospedale o nel corridoio di un
treno in corsa..
E ogni giorno l’
Ufficio Centrale trasmise alle sezioni distrettuali, nella cui
circoscrizione era la dimora del soldato, tutte queste pietose
notizie,perchè le sezioni le dessero alle famiglie"
Nel 1915 le
notizie ricevute dall’Ufficio furono 181.590; nel 1916 2 074
051; nel 1917 2 606 744; nel 1918 1 922 923; nel 1919 120 500
per un totale di quasi sette milioni di notizie.
Altre ne giunsero
dal fronte, quelle richieste direttamente dai comandanti (circa
1,5 milioni); parecchi altri milioni giunsero dagli ospedali
militari territoriali.
"Sicchè lo
schedario generale contiene più di 12 milioni di schede".
Ed oggi esse
giacciono sepolte nell’ antro dell’ Archivio Centrale dello
Stato, segno significante dell’ Italia indifferente.
Mario Sacca’ |