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Oggi,
nello scenario politico, economico e sociale della
Storia d’Italia, vivono nella memoria di tutti: l’Eroe
Giuseppe Garibaldi, la sua leggendaria impresa e la Vita
degli Italiani. Non bisogna nemmeno dimenticare la
gloria di tanti patrioti italiani del Nord e del Sud, i
quali sopportarono il carcere, la tortura e morirono
lottando per un ideale di Patria Unita.
Disconoscere l’Eroe, il popolo dei garibaldini e tutti
coloro che si batterono per un’Italia Unita, rendendosi
interpreti ed attori di un’azione militare assurda ed
impossibile, che molti enfatizzavano e che pensavano da
decenni, senza mai riuscirci, o che in alcuni casi
tentarono anche maldestramente senza risultato,
collezionando però soltanto insuccessi, delusioni,
sacrifici, carcere e morte, significa offendere la
memoria di tutti questi eroi, i quali, anche se in modo
diverso, ognuno pagò il suo tributo di gloria, di
miseria, di mortificazione, di sangue o di morte.
Se
l’Unità d’Italia si è concretizzata con qualche
risentimento e con motivazioni politiche diverse, oppure
non diplomaticamente, ma con un’improvvisata azione
militare, travolgente e di spontaneo entusiasmo, anche
se impastata di mafia e di camorra, di settarismi e di
borbonici corrotti, di sciacalli e di tradimenti.
questa critica non va rivolta ai tanti eroi che fecero
il loro dovere di uomini liberi, di idealisti e di
soldati, ma a quei politici che non seppero far
sviluppare, con lodevole caparbietà e capacità
organizzativa, un’obbligatoria e produttiva fusione fra
Nord e Sud.
Se il
popolo restò disilluso dalle non favorevoli conseguenze
dell’unione del Sud al Nord e non trovò un gran
vantaggio da questa saldatura territoriale, è da
attribuire sicuramente ad una classe politica e
dirigenziale che nell’unificazione non fu capace di
superare e di risolvere le diverse problematiche
esistenti, pervenendo ad un livellamento soprattutto
economico e sociale e non solo territoriale.
I quasi
cento anni di presenza dei Savoia in Italia, credo che
non abbiano offuscato per capacità organizzativa, per
cultura e per intelligenza il valore della Dinastia dei
Borboni, la quale, rimasta nel Regno delle Due Sicilie
per ben 126 anni, riuscì a raggiungere, fra tutte le
sovranità europee, ammirevoli primati e a realizzare
più progresso, più civiltà e più cultura.
I
quattro Re Sabaudi dell’età moderna che da Vittorio
Emanuele II in poi (Vitt. Eman. II- Umberto I- Vitt.
Eman. III - Umberto II) si alternarono, adattandosi in
modo quasi silente, ma anche commettendo grossi errori
storici, ebbero sempre fede nel portare innanzi il
processo di Unificazione italiana.
Se
Vittorio Emanuele III, durante i tragici avvenimenti
storici della IIª Guerra Mondiale, pur di salvare la
dinastia dei Savoia, il 9 maggio 1946 abdicò a favore
del figlio Umberto II, non cambiò la Storia.
Stranamente il destino dei Savoia, che era cominciato il
21 ottobre 1860 con un ingannevole plebiscito, allorchè
gli Italiani con brogli elettorali votarono a favore dei
Sovrani Sabaudi decidendo in via definitiva
sull’Unificazione italiana, finì il 2 giugno 1946 con un
altro censurabile referendum popolare, questa volta a
suffragio maschile e femminile, col quale l’Italia
bocciò la Monarchia ed optò per la Repubblica. La Storia
aveva ripreso il suo corso interrotto con i Savoia e
secondo i desideri dei Repubblicani.
Questa
è l’epoca in cui l’Inghilterra teme l’allargarsi della
Francia nel Mediterraneo, sia perché quest’ultima voleva
mettere un Protettorato sullo Stato Pontificio e sia
perché prevedeva di porre un principe francese a capo
del Regno delle Due Sicilie. La tentata vendita della
Sardegna ai Francesi da parte dei Savoia per tentare di
sanare i fallimentari bilanci del governo sabaudo, così
come era stata fatta in precedenza con Nizza e la
Savoia, era stata bloccata in tempo dagli stessi
inglesi, preoccupati sempre dell’espansione francese nel
Mediterraneo.
Nello
stesso tempo l’Inghilterra, aiutando con finanziamenti,
armi e protezioni di ogni genere i patrioti italiani per
il raggiungimento della desiderata Unità, miravano a
conquistare maggiori spazi sull’intero territorio
siciliano, al fine di avere anch’essi un posizionamento
importante nello stesso Mar Mediterraneo.
Infatti
i diversi aiuti finanziari e gli appoggi concessi
dall’Inghilterra ai Rivoluzionari Italiani nascondevano
un’invisibile appetibilità e brama, perché tra l’altro
gli Inglesi miravano ad accaparrarsi le miniere
siciliane di zolfo, prodotto che già compravano quasi
totalmente, e che poi rivendevano a prezzo altissimo,
perchè nella chimica era richiestissimo come prodotto
esplodente e nelle armi da sparo; poi desideravano avere
una forte presenza sul territorio della Sicilia
Occidentale, in quanto già sviluppavano grossi traffici
commerciali nel porto di Marsala; ed infine avevano
intenzione di utilizzare meglio l’importante base
inglese di Bronte, la ducea protetta dall’Inghilterra e
donata nel 1799 dal Re Ferdinando I di Borbone
all’ammiraglio inglese Orazio Nelson.
In
sintesi gli Inglesi, con diverse mirate operazioni e con
la scusa che si dovevano aiutare i popoli nella
conquista della loro indipendenza, avevano manipolato o
frenato alcune importanti operazioni di politica
territoriale. Infatti, gli stessi sostenevano che si
doveva arrivare ad eliminare il dispotismo e lo
sfruttamento dei regnanti, però, come riserva ed in modo
occulto, nella fattispecie, essi miravano ad avere, come
riconoscenza per l’aiuto prestato, un predominio totale
sull’intera isola, altro che lotta per l’autonomia
siciliana.
In tal
modo, la grande postazione di potenza che l’Inghilterra
avrebbe conquistato nel Mediterraneo sull’ intera Isola
siciliana sarebbe stata in piena concorrenza ed in
contrasto con il temuto potere francese e con quello
russo, perché anche questi ultimi, per l’imminente
apertura dello Stretto di Suez, erano fortemente
interessati ad avere un punto di appoggio nel
Mediterraneo. Insomma tutta l’Italia restava un
territorio appetibile per gli Inglesi, per i Francesi ed
infine anche per i Russi.
Con
questa manipolazione psicologica sulla libertà dei
popoli, si inducevano a far sviluppare nella mente delle
etnie sentimenti di patria, e così, in nome
dell’indipendenza si organizzavano sommosse e
rivoluzioni regolarmente finanziate da parte inglese
contro i regnanti. Quando uno Stato forte si muove a
favore o contro un potere minore, vi sono sempre degli
interessi cui si vuole mirare.
Anche
oggi un articolo, subdolamente scritto contro il
Governo Italiano e pubblicato con strana innocenza su di
un giornale straniero di grande tiratura, produce i suoi
effetti sibillini e di propaganda nella corrente
avversa, la quale lo utilizza in modo ridondante e
distruttivo.
Così,
anche all’epoca, questi lavaggi cerebrali, astutamente
fatti circolare per avere più efficacia ed un maggiore
attecchimento, facevano presa sugli intellettuali
idealisti e sui perseguitati. Ovviamente, il Regnante,
una volta provocato, reagiva adeguatamente e così
innanzi all’opinione pubblica Italiana e a quella
Internazionale il comportamento aggressivo, dispotico e
persecutorio del presunto tiranno veniva stigmatizzato e
designato come un potere da abbattere, per essere poi
sostituito con un altro di maggiore comodo e docilità.
Una tattica fine, precisa, ben studiata, che aveva un
inizio calcolato ed un finale che chiudeva
diabolicamente il cerchio.
Ma
anche la tattica dei Savoia non era da meno nell’essere
considerata altrettanto subdola e mirata: il Piemonte,
che si trovava sull’orlo del collasso, non aveva né
allargate attività commerciali ed industriali, a parte
piccole banche gestite da privati, in prevalenza
straniere, e né vi erano grandi banche che potessero
giustificare il movimento di consistenti capitali
finalizzati ad un possibile tentativo di ripresa
economica; al contrario i piemontesi mirarono a
conquistare il Sud industriale, economicamente ricco,
soprattutto nei depositi bancari, perché conquistando
l’area del Sud, avrebbero superato il triste periodo di
bancarotta in cui essi si trovavano.
Lo
Stato Piemontese, “povero, arretrato e feudalesco”,
con una bilancia commerciale in forte passivo, era
proprio sull’orlo della bancarotta, per cui Vittorio
Emanuele II non aveva tanto da scegliere: o la guerra
per l’occupazione del Sud o la bancarotta.
Il
fondo monetario degli antichi Stati Italiani al momento
dell’unificazione era di 686 milioni di ducati-oro (il
riporto è in milioni per dare una più reale conoscenza
della consistenza esistente). Solo il Regno delle
Due Sicilie aveva capitali per 443 milioni di
ducati-oro, seguito dalla Toscana con 85 milioni, dalla
Romagna, Marche ed Umbria con 55, lo Stato Pontificio
con 35, la Sardegna con 27 e poi tutte piccoli importi
esistenti nei bilanci della Lombardia, e di Parma e
Piacenza.
Il
Regno delle Due Sicilie aveva un attivo in denaro
considerevole, perciò era tanto desiderato dai Regnanti
sabaudi, i quali seppero attendere il momento propizio
dell’Unificazione Italiana per impossessarsi di tutte le
ricchezze del Sud ed impoverirlo nelle imprese che
avevano fatto la Storia del Regno di Napoli, compreso il
tesoro dei Borboni.
A
questo punto io credo che se Garibaldi avesse intuito i
piani inglesi di conquista dell’intera Sicilia e del
motivo degli aiuti economici e logistici ricevuti, se
avesse compreso i reconditi obbiettivi di disponibilità
di Vittorio Emanuele II verso la causa italiana, il cui
scopo era quello di mirare a sanare le finanze del
Regno Sabaudo e non di condividere, per Italianità,
l’annessione del Sud al Nord; io credo che sicuramente
né Garibaldi e né il Sud avrebbero patriotticamente
partecipato, con tanto ardore, all’unione delle Due
Italie, come pure non avrebbero consentito,
nell’immediatezza, l’espoliazione delle ricchezze del
Meridione.
Spodestare un Re, per posizionarne un altro, con tutte
le pecche che Garibaldi sapeva nei confronti del Re
Sabaudo, non valeva la pena di organizzare in tal modo
l’Unità Italiana a proprio rischio ed immolando tante
giovani vite. Come pure sottrarre un territorio ai
Borboni, per essere poi conquistato dai Francesi o dagli
Inglesi, non aveva significato, perché per Garibaldi la
libertà dei popoli era sacra ed inviolabile.
Senza
dubbio l’ardore da patriota, in quel momento storico,
non illuminò Garibaldi, per cui oggi, dopo l’Unità
d’Italia, con amarezza c’è da constatare che anche lui,
come Mazzini, le stesse sette massoniche e carbonare ed
altri, furono inconsapevolmente strumentalizzati dal
doppio gioco di Vittorio Emanuele II, dell’Inghilterra,
delle Mata Hari in gonnella inglesi che adescavano
Garibaldi e dalla tattica nazionalista dei Francesi.
Per
tale motivo Vittorio Emanuele II dovette intuire e
vedere in Garibaldi il grande pericolo, tanto è vero
che, sicuramente secondo i preordinati piani sabaudi, fu
messo subito da parte per affidare incarichi a tutti i
piemontesi fuorché a colui che era stato l’artefice
della sua allargata monarchia. La piemontesizzazione
fece il resto.
Cavour
non era mai stato nel Sud, non conosceva Venezia, però
conosceva bene Parigi, dove si recava a giocare in borsa
le sue ricchezze. Come poteva sostenere delle battaglie
se non conosceva affatto il territorio Italiano? Egli si
preoccupava di allargare prima il potere piemontese e
poi di curare l’Unità Italiana, e con ciò dimostrava di
essere prima Piemontese e poi Italiano.
I veri
obbiettivi del torinese Cavour fecero parte di un
invisibile gioco politico a favore dei Savoia, nel
quale, egli, per ambizione, per interessi territoriali,
per accordi sottobanco, si manifestò sicuramente sleale
verso la popolazione meridionale, portando segretamente
innanzi progetti che sicuramente non avvantaggiarono il
Sud.
Credo
anche che se i rivoluzionari italiani meridionali
avessero compreso in tempo i piani e gli obbiettivi di
Vittorio Emanuele II e di Cavour, non avrebbero
insistito più di tanto ad accogliere i Savoia e nè
avrebbero optato per l’ annessione del Meridione al
Regno Sabaudo, perché avrebbero più immediatamente
sostenuto l’idea di un’Italia Repubblicana piuttosto che
Monarchica, oppure avrebbero reso più realizzabile
l’ipotesi di una confederazione tra i territori del
Nord, del Centro e del Sud Italia.
Se
prima dell’Unità gli intellettuali si erano mossi con
obbiettivi ideali, di libertà e di indipendenza, dopo
l’Unità, sviluppando una mentalità di delusione verso il
Risorgimento e desiderando un nostalgico ritorno al
tempo passato, cercarono di perseguire più interessi
sociali ed economici che rivoluzionari.
Come
pure credo che se Francesco II il Borbone avesse intuito
dell’infedeltà di alcuni suoi generali che preferirono
ignominiosamente ritirarsi nel momento cruciale, avrebbe
sicuramente gratificato meglio il suo popolo e non
avrebbe incentivato spese a favore di un esercito di
mare e di terra che nel momento in cui doveva servire lo
tradì. E non bastò nemmeno l’eroica reazione della
Regina Maria Sofia che non abbandonò il suo Re,
scappando a Roma, come tutti suggerivano, quando Gaeta
stava capitolando sotto gli spietati colpi dei cannoni
piemontesi.
Ed i
briganti?
Sono
sicuro che se i briganti avessero realmente combattuto i
Savoia, e quindi non uccidendo, rapinando o stuprando
gli stessi compaesani, tutto il popolo meridionale si
sarebbe rivoltato ed avrebbe combattuto insieme a loro
per cacciare i soldati piemontesi. Forse alcuni
briganti, lottando i monarchici del Nord, perchè
probabilmente li consideravano stranieri, intuirono con
maggiore intelligenza ed acume, quello che la classe
politica meridionale, per convenienza ed interessi
propri, non aveva voluto comprendere.
Comportandosi da briganti, non furono considerati dalla
Storia né rivoluzionari e né patrioti, però da
briganti, se non furono fucilati o imprigionati,
espatriarono e divennero emigranti.
La
Chiesa infine si pose a favore dei cattolici Borboni,
utilizzando nell’occasione i briganti, perché sapeva
che il Regno delle Due Sicilie sarebbe stato sempre, al
momento opportuno, un buon alleato, contro i
rivoluzionari francesi e gli scismatici inglesi.
Nell’età moderna l’attuale classe politica ha continuato
a vivere in modo incapace ed egoisticamente la sua
condizione di eletta dal popolo, senza tentare di essere
l’unico, autentico e reale interprete, il programmatore
ed il propulsore delle necessità e delle esigenze della
gente.
Se essa
con diverse falsificazioni sa magnificamente blaterare,
fingendo di andare verso il popolo e di operare
nell’interesse del Paese, subito dopo si presenta
litigiosa, incapace, accomodante nei privilegi e nei
propri interessi da perseguire, per poi continuare a
vivere, con costante inettitudine, lontana dalla realtà
economica, dalle esigenze della Nazione e dalle
richieste dei singoli cittadini.
Intanto
il popolo disperato si affossa sempre di più nei suoi
problemi quotidiani di sopravvivenza e di dignitosa
indigenza, pur tentando e sperando reiteratamente di
attivare con grande sacrificio e caparbietà un
desiderato miglioramento sociale, il cui scopo sarà
quello di far superare la stasi nella quale la classe
politica si è impantanata.
Anche
dopo la II Guerra Mondiale il processo di miglioramento
continuò ed investì l’agricoltura, la cultura, la
ricerca scientifica, l’intera economia nazionale ed
internazionale, attività che non possono stare lontane
dalla vita degli stessi cittadini ed essere vita per
pochi. Rappresentare storie tristi e di miseria, è
anche far conoscere i gravi problemi sociali.
Oggi in
prevalenza le strade ci sono, l’istruzione ha raggiunto
un buon livello, il lavoro ferve anche se vi sono sacche
nelle quali ristagna per un’esistente crisi economica e
per carenza di finanziamenti, però vi è buona volontà,
ci vorrebbe una grande guida per stimolare l’Italia
verso una maggiore operosità nelle realizzazioni,
facendo superare il divisionismo partitico, allo stato
troppo personale, al fine di far muovere tutti
positivamente nel campo industriale, imprenditoriale,
agricolo, artigianale e sociale, per il perseguimento
di superiori obbiettivi economici, amministrativi e
culturali. Non si è compreso che con la
compartecipazione attiva di tutti e non con le semplici
parole, tutta l’Italia dovrà riemergere, perché non ha
senso che una parte di essa resti in immersione o in
attesa di sprofondare definitivamente.
In
questo proponimento vi dovrebbe essere lo sforzo
ideologico della vera Unità Nazionale, nella piena
consapevolezza che se questo cammino è partito da
lontano più di due secoli fa, con la giusta
accelerazione e cooperazione, si dovrà arrivare a quel
processo di autentica unificazione e saldatura economica
e sociale fra il Nord ed il Sud.
La
Storia che si racconta ha sempre due facce, quella falsa
che si propina subdolamente al Popolo e quella vera che
viene captata solo da alcuni e che resta muta, perché
non ha voce, e poi perché non è figlia di nessuno.
Oggi,
tra la delinquenza camorristica-mafiosa ed una Società
ferita, vi è la povera gente che insofferente invoca
tutela e sicurezza. È una nuova guerra tra lo Stato ed i
nuovi briganti. Ci vuole polso ed una nuova seria e
rigida legge Pica. A questo punto non vi saranno più
Borboni da una parte e Savoia dall’altra, le scissioni
o i separatismi indeboliscono, nell’Unione raggiunta si
dovrà arrivare ad essere Italiani in una Grande Italia,
cosmopolita, ma onesta, feconda e lavoratrice.
Angelo
Di Lieto
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