CALABRIAINARMI

 " PER LA PATRIA!"

 

Il "catanzarese"  generale EMILIO PALLAVICINI marchese di Priola

 

 

Di aristocratica famiglia ligure molto vicina ai Savoia, il generale Emilio Pallavicini marchese di Priola è un eccellente protagonista della storia del nostro Risorgimento.

Nato a Genova l’8 novembre 1823, dimostrò attitudine per la vita militare frequentando con impegno la prestigiosa accademia di Torino. All’età di diciannove anni fu ammesso nell’esercito regio per poi passare al Corpo dei Bersaglieri nella prima guerra d’Indipendenza quando si distinse nella difesa di Novara. Partecipò all’assedio di Sebastopoli (sett. 1851), base navale russa nel Mar Nero al seguito del generale Lamarmora e, ancora col grado di capitano nella seconda guerra d’Indipendenza. Ferito a San Martino (24 giugno 1859), fu insignito dell’ordine militare di benemerenza. Contribuì alla liberazione delle Marche e dell’Umbria, regioni dello Stato Pontificio e il suo operato determinante per la conquista di Perugia gli valse la promozione a tenente colonnello.

Combatté alacremente per la conquista di Civitella del Tronto, ultima fortificazione borbonica, per la quale ricevette la medaglia d’oro al merito.

Il suo nome è legato all’episodio d’Aspromonte (29 agosto 1862), allorché Garibaldi, fidando in una consenziente protezione governativa, tentò di occupare Roma partendo dalla Sicilia ma venne da lui fermato perché non si complicasse la situazione con interventi stranieri a danno dell’appena costituito regno d’Italia.

L’Unità della Nazione tanto agognata e sofferta apportava nel Meridione sfiducia e delusione di fronte alla mancata promessa della distribuzione delle terre, al servizio di leva obbligatorio per una durata di cinque anni, all’imposizione di nuove tasse che indussero molti giovani alla latitanza e a unirsi ad ex soldati garibaldini e borbonici per organizzarsi in bande. I malviventi venivano spesso appoggiati da persone insospettabili, non mancavano proprietari terrieri, preti, monaci che assicuravano loro protezione in cambio di alti compensi, anche dietro pesanti forme di ricatto.

Lo Stato Italiano temendo soprattutto la stabilità della sua recente istituzione, il 6 agosto 1863, con una seduta parlamentare, approvò contro il Brigantaggio la legge Pica, detta così dal nome del deputato che l’aveva proposta. Furono interessate tutte le province del Mezzogiorno tranne Napoli, Reggio Calabria e la parte meridionale del Teramano. Furono istituiti tribunali Militari e il generale Pallavicini fu considerato idoneo a debellare il triste fenomeno.

Le bande accanite si spostavano per associarsi ad altre tra gli Aurunci, i Monti Ausoni, la Marsica, la zona del Vulture, le Murge.

Nel 1863 si susseguirono ben trentacinque scontri per fermare il famigerato Michele Caruso che, alla fine, catturato perché tradito, finì fucilato.

Furono ardui i combattimenti contro Carmine Crocco detto Donatello a Forenza, Banzi, Tricarico, Atella. La comitiva fu colta solo in seguito all’inganno di Giuseppe Caruso, luogotenente del capo, che ne rilevò strategie e nascondigli.

L’attacco lungo il fiume Ofanto portò alla cattura di tutti i fuorilegge che stavano per unirsi al gruppo Schiavone, solo Donatello riuscì a fuggire e riparare nello Stato Pontificio ma, qui rinchiuso nelle carceri di Paliano, fu condannato alla pena di morte commutata poi a vita.

A Bisaccia fu sorpresa nel gennaio 1865 la banda Saccaniello e a Lagonegro quella di Franco. Il quartiere generale era stato a Caserta.

Divenuto Lamarmora presidente del Consiglio, Pallavicini fu trasferito in Calabria dove i malavitosi si concentravano sull’altopiano silano tra Catanzaro (Calabria Ultra II) e Cosenza (Calabria Citra) con l’appoggio dei cafoni.

Il Tribunale Militare ebbe sede a Catanzaro, il Generale trovò alloggio a palazzo Alemanni.

Dalla relazione del 26 dicembre 1865 si legge:

“Quando nel mese di maggio ultimo scorso io venni nelle Calabrie ad assumervi la direzione delle operazioni contro il Brigantaggio, la malvivenza era rappresentata da ben 119 briganti aventi 17 famigerati capi, ossia formati in 12 comitive […]”

E ancora:    

“[…] Fra le milizie cittadine è meritevole di speciale menzione quella di Catanzaro, comandata dal Maggiore Cav. Bernardo De Riso modello di disciplina e di organizzazione. […]

Le squadriglie composte esclusivamente di volontari a pagamento come quella capitanata da Cianflone Maggiore della Guardia Nazionale mobile e le squadriglie miste formate di Carabinieri, di soldati di fanteria, di Bersaglieri e di squadriglie come quella di Luigi Muraca. […]

[…] Il Signor Staiani a Rossano, mosso a compassione per la vacillante salute del proprio prigioniero, il brigante Vulcanis, rappresentante del Capo Palma offrì allo Staiani di mantenerlo nascosto in Corigliano sino a tale pagamento del ricatto. […] L’arresto di Pietro Corea eseguitosi giorno corrente mese in una casa di Gagliano […]”

Furono presi provvedimenti di sorveglianza con la collocazione di centri militari formati da un ufficiale e 25 soldati ciascuno nei comuni di Cutro, di Marcedusa, di Cropani, di Magisano, di Soveria Simeri e Catanzaro marina al fine di controllare gli armentizi e di evitare connivenze con i pastori.

Nel capoluogo calabrese, il Marchese trovò accoglienza e signorilità nel confrontarsi cin un’aristocrazia liberale e una classe intellettuale avanzata.

Ormai, famoso per le sue gesta e i suoi modi galanti, veniva invitato nei salotti e in suo onore si svolgevano balli e sontuosi pranzi che gli rendevano gradevole la permanenza.

La sua risolutezza nel portare avanti il difficile incarico fu apprezzata e il Sindaco Vito Migliaccio nel conferirgli la cittadinanza ebbe a dire: “A lei Generale è dovuta l’opera del nostro secondo riscatto, la riconoscenza pubblica e l’affetto sono il più splendido monumento alle militari e civili virtù di Lei”.

Lusingato, il Comandante rispondeva: “Sia in cose riguardanti il disimpegno della mia missione, sia nella vita privata, fanno della cittadinanza concessami, oltre che onorifica, una grande manifestazione”.

Alludeva al fidanzamento con una giovane catanzarese che aveva conosciuto a casa del Senatore Giuseppe Rossi, in quanto sorella della moglie, la signorina Ottavia Manfredi, figlia di un valente avvocato criminologo ex militante nelle file napoleoniche e sorella dell’ing. Michele, progettista del piano regolatore.

Le nozze si svolsero il 14 maggio del ’66 in casa Rossi, testimone di nozze Grimaldi, e subito il generale partì per la III guerra d’Indipendenza alla guida di dieci battaglioni di bersaglieri.

Con Roma capitale d’Italia, la coppia si trasferì nella città eterna ed Emilio fu al Comando del Corpo delle milizie per poi con nomina regia diventare senatore del Regno, mentre la moglie s’inserì con successo a corte come dama di compagnia della sovrana.

Fu proprio lei, con la sua amica principessa Carafa, ad intercedere con la regina perché ad un certo Giacomo Puccini, promettente musicista, venissero offerti i mezzi per proseguire gli studi nel Conservatorio di Milano.

Gli ultimi anni della vita di Pallavicini furono vissuti nella quiete familiare accanto alla sua Ottavia, donna virtuosa e generosa, che lo avvicinò alla preghiera e alla carità cristiana.

I loro averi furono lasciati in beneficenza ai Padri della Compagnia di Gesù. Riposano nello stesso loculo della cappella della Confraternita del Prezioso Sangue al cimitero del Verano.   

 

Francesca Rizzari Gregorace

 

 
     
 

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