CALABRIAINARMI  

 " PER LA PATRIA! "

 

   
     

    "L'OPERA NEL RISORGIMENTO"

   
       

 

 
       
 

L’Opera Lirica fu, nell’età del Risorgimento ,la “Bibbia” del popolo analfabeta  e semianalfabeta, se la diffusione delle idee risorgimentali ebbe la stampa quale mezzo di comunicazione principalmente per gli intellettuali, l’Opera Lirica si incaricò, in quanto forma d’arte “popolare”, di diffondere, grazie alle parole del libretto non meno che in forza delle note musicali, il verbo patriottico, caricando di significato le parole “Libertà” (dallo straniero), ”Patria” , ”Unità” (dell’Italia), ”Dio”. Questi termini ebbero decisiva importanza (insieme ad “Onore” e “Gloria”) nel vocabolario dei poeti e di conseguenze dei musicisti. Il Teatro d’Opera fu il luogo ove le idee risorgimentali trovarono terreno fertile per svilupparsi. C’è da dire che in Italia non c’è stata una vera epica del Risorgimento, si ha torto quando la si cerca nel grande romanzo che non c’è e che del  resto non ci poteva essere in una nazione con una maggioranza di analfabeti  e non è vero che l’Italia non ha il suo romanzo, non ha il suo poema da cantare, la sua leggenda, perché la leggenda c’è: si chiama Melodramma (Maggiani).

Il pieno sviluppo dell’Opera risorgimentale giunge con G.Verdi, ma ancora prima di Verdi le istanze patriottiche ebbero modo di esprimersi attraverso le  musiche  di  compositori insospettabili in questa veste  (e comunque coinvolti indirettamente) a dimostrazione del fatto che, nella maggior parte dei casi, erano i focosi patrioti a dare interpretazioni e peso particolare a specifiche parole del (più delle volte) consapevole librettista, con buona pace della censura. Il Melodramma fu lo specchio della società ottocentesca, dalla nobiltà alla media e grande borghesia, al basso ceto. Detto ciò si può ben capire l’enorme valore della censura, perché come notava Francesco Avventi nel suo “Mentore Teatrale” (Ferrara 1845), una cosa era “un lettore che scorre un libro nel silenzio del suo studio”, ben altra cosa era “una massa numerosa di spettatori disposta a cedere ad una comunicazione elettrica e pronta ad infiammarsi al tocco della più minuta “scintilla”. La cultura italiana più accademica ed ufficiale non  ha mai amato l’Opera, ha accusato gli italiani  di avere inventato il Melodramma perché sono melodrammatici o di essere melodrammatici perché hanno inventato il Melodramma  e  con le dovute eccezioni (Mazzini, Gramsci) non ha mai posto la musica al centro della sua riflessione. Tornando alla “scintilla”, tanto per fare qualche esempio, pare l’abbia data anche l’inoffensiva “L’Italiana in Algeri” di G.Rossini con l’aria  “pensa alla patria” che così dice: ”pensa alla patria ed intrepido il tuo dover adempi. Pensa che vide l’Italia risplendere gli esempi d’ardire e di valor”. A proposito di questa aria Stendhal nella biografia “Vita di Rossini” (1823) afferma che è “un monumento storico”, come un monumento storico in un’Opera Buffa? - gli si obiettò - “oh si, signori! ha l’audacia di esserlo”, rispose.

Il popolo, come si diceva, si appropriava della “scintilla” in tutte quelle Opere in cui ravvisava quegli stimoli al senso patriottico  e così nell’Opera “ La Donna del Lago” dal romanzo di W.Scott sempre di Rossini in cui ascoltiamo il possente Coro: “all’armi o campioni! La gloria ne attende…” e ancora “correte…struggete il vostro oppressor…” ed  infine “Su, Su, fate  scempio del vostro Oppressor…”, pagina  grandiosa  ed  immensa nell’appassionante paesaggio romantico di W.Scott, di cui Rossini si era innamorato. Ed ancora sempre dal  Rossiniano “Guglielmo Tell” sopra un libretto di Victor-Joseph-étienne de Jony e Hippolyte Bis, dal quale traspirava la mediazione Giacobina delle fonti (infatti fu ispirato dal poema in prosa Guillaume Tell del nobile cospiratore Pierre Claris de Florian, di impronta fortemente antimonarchica e dal Wilhelm Tell di  F.Schiller  del 1804).

La  “scintilla” patriottica la si individuava anche in Opera di altri compositori come “Gli Esiliati in Siberia” di G.Donizetti del 1827 e soprattutto nella “Gemma di Vergy” dello stesso Donizetti, del 1834, nei versi: “mi togliesti e core e mente/Patria, Numi e Libertà” che scatenò i sentimenti risorgimentali  del pubblico del Teatro Carolino di Palermo nei giorni che precedettero l’insurrezione del 1848 in Sicilia. Lo stesso si dica anche per l’Opera “Donna Caritea Regina di Spagna” di S. Mercadante del 1826 e del suo Coro nelle parole: ”Chi per la gloria muor/vissuto è assai”. Si narra che i fratelli Bandiera intonassero questo coro davanti al plotone d’esecuzione in Calabria nel 1844, con la variante: “chi per la Patria muor/vissuto è assai”. Da ciò i liberali, più in là nel coro, anziché dire “piuttosto che languir/per lunghi affanni” cantavano “piuttosto che languir/sotto i tiranni”. Anche la musica di V. Bellini fece la sua parte nel risveglio dell’ardore patriottico,  come nell’Opera “Norma” e nel  suo eloquente coro del finale primo atto ”guerra, guerra” che fu in molte occasioni cantato soprattutto nei moti di Reggio e Messina del 1847 e di Palermo del 1848 da cui nacque il sostrato ideologico che permise la partecipazione dei meridionali all’Unità d’Italia. Ma più ancora, in Bellini, la spinta insurrezionale la si coglieva nella cabaletta “suoni la tromba” dalla sua ultima opera “I Puritani” che suscitò alla prima di Parigi del 1835, l’entusiasmo generale a livello di parossismo tanto cha la patriota Cristina di Belgioioso invitò nel suo salotto parigino molti grandi musicisti del tempo a comporre alcune variazioni sul tema aderirono Liszt, Thalberg, Herz, Czerny e Chopin che misero insieme una composizione dal titolo”Hexamèron”.

Per tutti questi motivi il controllo compiuto dalla censura era pesante ed opprimente ed era divenuta così assurda da cancellare la parola “libertà” in un coro della Norma, sostituendovi la parola “lealtà”. A questo proposito un curioso aneddoto: il signor Ronconi, famoso e benvoluto baritono del tempo, avendo dimenticato nel calore dell’esecuzione l’emendamento suddetto, fu messo in prigione per tre giorni affinchè rendesse migliore la sua memoria. Non molto tempo dopo, cantando nell’Elisir d’Amore quando arrivò al verso “Vend’è la libertà, si fè soldato” egli, da quell’amabile buffo che era alterò il verso dicendo ”vendè la lealtà, si fè soldato” con grande plauso del pubblico.

Nel saggio “Filosofia della Musica” Mazzini, nel 1836, aveva auspicato che la musica potesse essere un alleato potente all’ideologia della liberazione, quindi una nuova musica “Politica” non più aulica ed aristocratica, ma romantica e popolare che sapesse unificare, in sublime armonia, i sentimenti individuali con quelli collettivi della Nazione. Mazzini indicava soprattutto nel “Coro” il simbolo di tale armonica fusione. E furono soprattutto i cori a simboleggiare le lotte del Risorgimento, primo fra tutti il famoso “va pensiero” dal Nabucco di G. Verdi nel quale gli schiavi ebrei lamentano la perdita della loro Patria. Metafora perfetta di tutti gli italiani anche se Verdi non aveva affatto l’intenzione di scrivere un’Opera “politica”, ma soltanto un’Opera di carattere biblico.

Nell’immaginario verdiano, durante la composizione dell’Opera “I Lombardi alla prima crociata” deve avere influito il dipinto di Hayez “Pietro l’eremita” che, cavalcando una bianca mula col crocifisso in mano e scorrendo le città e le borgate, predica la "crociata” (1827-29). Tale dipinto si accordava perfettamente con le aspirazioni patriottiche della nobiltà e degli intellettuali lombardi alimentandone gli ideali risorgimentali ed ecco il coro “O Signore dal tetto natio”, coro di evocazione e sentimenti nostalgici per la patria lontana nell’Opera, coro di auspici insurrezionali per i patrioti. Un’altra Opera verdiana molto importante, dove l’allusione “politica” è resa evidente è “Ernani” col suo famoso coro “si ridesti il leon di Castiglia”, anche qui sotto le spoglie dei congiurati evocati dal coro il pubblico si riconobbe pienamente in tale veste, ma prima ancora del coro si riconobbe anche nella bellissima cabaletta di Ernani “della vendetta bello è il morire”, che chiude il 2° atto. Da quest’Opera possiamo tracciare un significativo parallelo fra Manzoni e Verdi, esempio perfetto di come ci sia compenetrazione tra Musica e Letteratura che si palesa nei temi, nelle situazioni, nella lingua e molto spesso nelle ideologie. Scrive Manzoni in marzo 1821  12^ strofa: ”oggi, o forti, sui volti baleni il furor delle menti segrete per l’Italia si pugna, vincete!”. E Verdi nel coro dell’Ernani: “pugnerem colle braccia, co’ petti, schiavi inulti più a lungo e negletti non saremo….”. Anche in “Giovanna d’Arco” si intravede un Verdi dai tratti insurrezionali nel coro del secondo atto là dove canta, con in testa la Giovanna vittoriosa  sull’Inghilterra “dal cielo a noi chi viene frangendo le catene?...viva la mira vergine che l’Anglia (l’Inghilterra) debellò…..” ed i patrioti al posto dell’Anglia vi sostituivano l’Austria. E che dire dell’Opera “Attila”? tutta intera s’intende con il suo incedere guerresco? Ed ancora dello Shakepeariano “Macbeth” con il più che allusivo coro “Patria oppressa”. Ma l’Opera i cui intenti verdiani furono veramente palesi, cioè espressamente “politici” fu “La battaglia di Legnano” che fu tratta dal librettista Salvatore Cammarano, ardente patriota, dal dramma “La bataille de Toulouse” di Joseph Mèry del 1828. E’ l’unico libretto a soggetto patriottico messo in musica da Verdi visti gli avvenimenti che condussero alle varie sollevazioni italiane del 1848 ed è bene ricordare che il contenuto “Nazionale” delle Opere di Verdi fino a quel momento non era da addebitarsi ad una precisa volontà del compositore ma alla particolare cifra melodica che la sua musica era capace di suscitare coinvolgendo il pubblico in parossistiche manifestazioni patriottiche. Il 1848 investì il teatro d’Opera permettendo la rappresentazione di Melodrammi fino ad allora proibiti, tra questi la “Lucrezia Borgia” e il “Marin Faliero” di  Donizetti rappresentate al  S. Carlo di Napoli il 25 febbraio e l’8 aprile, giorno della morte di Donizetti.

Le vicende della Battaglia di Legnano, secondo gli avvenimenti legati alle 5 giornate di Milano del 18-22-marzo 1848 , furono fortemente condizionate da vari imprevisti che ne ritardarono la rappresentazione prevista a Milano, al punto che L’editore Ricordi (visto che Radetsky in agosto aveva ripreso la Città) consigliò a Verdi nel mese di dicembre di essere prudente a rappresentarla alla Scala. Di contro Verdi, seguendo il consiglio di Ricordi, escogitò la rappresentazione della prima a Roma al teatro Argentina il 27 gennaio del 1849, dove era nata la Repubblica Romana,  alla presenza di Garibaldi e Mazzini. Se Mazzini vede nel personaggio di Enrico VII° dell’Opera “Anna Bolena” di Donizetti il prototipo del tiranno, se la nobildonna genovese Maria Brignola Sale, Duchessa di Galliera, ebbe a dire  del  “Marin Faliero”, sempre di Donizetti, che essa “vibra una corda sensibile nel cuore di chi ha ancora un tantino di sangue repubblicano (della Repubblica di Genova) nelle vene” là dove, e soprattutto nella cabaletta del personaggio di Israele i cui significati sovversivi sono evidenti: ”orgogliosi,scellerati, vili voi, superbi ingrati! Non vi basta il modo indegno, v’aggiungete alla viltà………qui ciascuno è fatto segno alla loro crudeltà”, se Salvatore Cammarano, dal canto suo, arrivò a scrivere che ne “L’assedio di Calais”, ancora di Donizetti, vi sono pagine guidate dal più schietto patriottismo per chi avesse  avuto buone orecchie per intendere “d’un popolo afflitto il grido gemente al cielo s’innalza, domanda pietà. O padre de’ miseri , o nume clemente, deh salva gli avanzi d’oppressa città”, è giusto ricordare  che le parole del “patriota” Cammarano ne “La Battaglia di Legnano” sono più che esplicite nel coro: “Giuriam d’Italia por fine ai danni cacciando oltralpe i suoi tiranni. Pria che ritrarci, pria che essere vinti, cader giuriamo nel campo estinti. Se alcun fra noi, codardo in guerra, mostrasi al volto potrà rubello. Al mancatore nieghi la terra vivo un asilo, spento un avello: siccome gli uomini Dio l’abbandoni, quando l’estremo suo dì verrà; il vil suo nome infamia suoni ad ogni gente, ad ogni età”. Ed ancora in altro coro: ”dall’Alpi a Cariddi echeggi vittoria”, ed infine dal solo protagonista Arrigo alla fine dell’Opera: “chi muore per la Patria alma si rea non ha”.

Ma non si può finire questo scritto senza rimarcare il ruolo che Verdi volle dare alla donna nelle lotte risorgimentali, quale si può desumere dall’Opera “I vespri siciliani” il cui spunto per il compositore gli venne dall’episodio storico della ribellione, avvenuta il 31 marzo del 1282, dai contadini siciliani contro l’esercito francese di Carlo I° d’Angiò che occupava l’isola  e la cui “scintilla” (probabilmente molto romanzata) fu appunto il suono delle campane del vespro che, la sera del lunedì di Pasqua, si fece udire poco dopo l’uccisione di un soldato francese, reo di avere molestato una donna del luogo. Il rintocco delle campane venne interpretato come un appello alla rivolta. Nell’Opera si ascolta la bellissima aria della nobildonna Elena al 1° atto: “coraggio, su coraggio” e soprattutto l’aria di Procida, capo dei rivoltosi “o patria, o cara patria” con  la cabaletta che segue ”santo amor che in me favella”, stimoli perfetti  all’insurrezione per  tutti i patrioti italiani, siciliani in testa.

 

A cura di Domenico Maiolo, Presidente degli  Amici Dell’Opera Lirica “Jussi Björling”   (A.D.O.L.) Catanzaro

   

 

 

 

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