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1.1.
I
collegamenti tra la Mostra di Tropea e il bicentenario della
Battaglia di Mileto.
Il 28 maggio 1807 a Mileto e dintorni si combattè uno scontro
sanguinoso tra l’esercito francese di Giuseppe Bonaparte-
impegnato nell’occupazione del Regno di Napoli decisa da
Napoleone per punire i Borbone perché ostili alla Francia
1-
e l’esercito borbonico che quel Regno tentava di difendere.
Nello scontro furono i francesi a prevalere sui Borbone e a
conquistare il predominio della regione per circa un decennio.
Si capovolsero gli equilibri di forza creatisi dopo la
battaglia di Maida del 4 luglio del 1806, dove i francesi erano
stati sconfitti dagli inglesi . La Calabria era divenuta terreno
di scontro tra due delle maggiori potenze europee, che miravano
al controllo del Mediterraneo: la Francia e l’ Inghilterra,
quest’ultima alleata dei borboni. Il bicentenario dell’evento
celebrato a Mileto con un convegno tenutosi il 25,26 e 28 maggio
2007, ha dato l’opportunità agli organizzatori della mostra di
proporre al mondo della cultura e della scuola del vibonese una
lettura più ampia e multidisciplinare di quegli eventi, essendo
evidente che il fatto militare non poteva esaurire tutte le
esperienze del decennio francese (poliche,economiche,sociali,artistiche
e culturali) . Da qui il collegamento tra le iniziative
commemorative della battaglia di Mileto e la mostra dal titolo
“Albero della libertà …….
1.2 La
battaglia e i nuovi assetti politici
.
L’esercito francese inseguiva da un anno la rivincita tant’è che
il generale Reynier , prima di muovere all’attacco, così parlò
ai suoi soldati : “ Il
sangue dei vostri commilitoni grida vendetta.Non valore, non
accorgimento ci mancò in Sant’Eufemia ( Maida, a.d.r.) ; solo
avemmo avversa la fortuna. Ma ora ella ci si mostra
propizia,perché ingannatrice del nemico. Facile,certo, tornerà
il vendicarci,il trionfare,purché ricordiate d’esser francesi.”
Dopo la
battaglia molti furono i cambiamenti tra i quali il
trasferimento della capitale della Calabria Ulteriore da
Catanzaro a Monteleone ( Vibo Valentia ). Ma altri mutamenti
ebbero una portata innovatrice, così come avvenne nel resto
d’Europa :furono introdotte le leggi e le istituzioni francesi;
per motivi igienici ed egalitari, fu resa obbligatoria la
sepoltura nei cimiteri . Furono nominati i Consigli provinciali
e nei Comuni furono insediati i sindaci affiancati da Consigli
Comunali (Decurionati) e da Giunte ( corpi di città) . Venne
istituita l’istruzione pubblica a carico dei Comuni ,furono
introdotti i registri dello stato civile. Già nel 1806 era stata
emanata a Napoli la “legge di eversione della feudalità” che
eliminò privilegi e portò alla espropriazione dei beni
ecclesiastici. Si rafforzò la borghesia agraria con la
ripartizione dei demani pubblici che incentivò i latifondi ( e
questo fu causa di gravi conflitti ). Furono costruite
strade,canali e scuole.A Mileto fu costruito un acquedotto e fu
aperto un teatro.Gioacchino Murat, cognato di Napoleone, creò un
esercito che fu elemento di crescita non solo militare ma anche
politica, infatti tra i suoi ufficiali si formarono alla fine
dell’età napoleonica i primi nuclei del risorgimento.
I Borboni si
rifugiarono in Sicilia da dove, assieme agli inglesi,
fomentarono in Calabria il brigantaggio che diede filo da
torcere ai francesi e fu oggetto di una crudele azione
repressiva.Nell’isola ,protetti dalla flotta inglese, Ferdinando
e la moglie Maria Carolina, non rinunciavano alla riconquista
del regno specie quest’ultima, definita da Napoleone
“l’unico uomo del Regno di Napoli”.
Ferdinando ritornò sul trono dopo il Congresso di Vienna del
1815 . Alla caduta dell’impero di Napoleone il tentativo di
Gioacchino Murat di riconquistare il regno di Napoli , fallì
miseramente, poiché egli fu preso e fucilato nel castello di
Pizzo il 13 ottobre dello stesso anno dopo un processo sommario.
1.3 Lo
scontro sul campo
La battaglia di Mileto è una pagina di storia militare , oltre
che politica, e vide due eserciti scontrarsi e lasciare sul
terreno un migliaio di morti. Si fronteggiarono per i francesi
il generale Reynier, che aveva raccolto il suo esercito di
circa 5.000 uomini a Monteleone e, per i borboni, il Principe
Philippstal d’Assia , che comandava un esercito di circa 3.500
uomini . Faceva parte dell’esercito borbonico anche il
colonnello Vito Nunziante le cui truppe, alla restaurazione il
29 giugno del 1848 ,trucidarono a Pizzo il padre ed il fratello
di Benedetto Musolino, personaggio politico di grande rilievo
del risorgimento calabrese ed italiano.
Nei
preparativi della battaglia sono state registrate anche
operazioni di spionaggio : il maggiore borbonico Pousset nel
giornale di battaglia riferisce che la mattina del 27 maggio gli
avamposti “arrestarono due
spie, una portava delle lettere parlando del numero di
bestiami, dividendoli in vacche, e pecore, chiedendo dei fucili
da caccia pe ‘l passaggio delle quaglie sotto un’aspetto che
conoscer faceva di parlare d’affari relativi all’armata. La
detta lettera gli fu trovata avvolta nel tabacco…l’altra spia
era un monaco, che nell’atto dell’arresto s’ingoijò delle
cartelline, che aveva indosso.In tutto questo giorno entravano
ed uscivano dal nostro campo tutte quelle persone che volevano
entrare, ed uscire a loro piacere, potendo contare la Truppa
uomo per uomo”.
I
tentativi di sbarco fatti nei giorni precedenti dalla flottiglia
borbonica lungo la costa erano stati respinti come si legge
nella relazione di parte francese, apparsa sul Monitore napolitano del 9 giugno 1807 : “
La stessa flottiglia che aveva
fatto lo sbarco di Gioja, si presentò caricata di briganti sotto
il comando di Cancelliere, e minacciò diversi punti della costa
di Gioja sino a S.Eufemia del golfo. A Tropea le buone
disposizioni della Civica gli levarono la voglia di sbarcare: lo
stesso successe a Paralia a Briatico e al Pizzo.Il Generale(
Reynier -n.d.r. ) non può
che lodarsi della buona condotta delle Civiche di tutte queste
parti”.
Dai
giornali della battaglia di Mileto e dalle relazioni ,redatti
da ambo le parti, risaltano gli errori che avrebbero compiuto i borboni. Infatti ,pare che il colonnello Nunziante avesse
avvertito il Philippstall di lasciare la posizione di Mileto
-dove aveva posto il suo quartiere generale- perché tatticamente
sfavorita di fronte ad un eventuale attacco nemico . Mileto si
trova su una collina più bassa rispetto al pianoro che da Vibo
Valentia porta nella cittadina ed è circondata ,ora come
allora,da colline che la sovrastano .
Il Phillipstall che si era spostato con il suo esercito da Rosarno
a Mileto il 26 maggio del 1807 tardò a prendere una decisione e
venne attaccato dai francesi alle 4 e mezza della mattina del
28 maggio . I primi contatti fra le truppe avvennero sulle
colline di di Nao e poi a Pizzinni . Da qui la battaglia si
trasferì nell’abitato di Mileto -dove si combattè a colpi di
fucile e all’arma bianca tra le case- e nelle campagne a sud
della città . Lo scontro fu sanguinoso e l’esercito napoletano
fu sbaragliato ed inseguito per Rosarno, Gioia Tauro e Seminara
fino alle porte di Reggio Calabria .
Il Generale,
principe Phillipsthal d’Hassia, che comandava l’esercito
borbonico, nella sua relazione si sofferma sulla fuga
precipitosa della cavalleria borbonica all’impatto con le
truppe francesi e narra che quella, fuggendo , travolse i
suoi stessi “Cacciatori” al punto che non sentendo la voce dei
loro ufficiali : “ né la
mia stessa voce fui costretto di tirare, e far tirare dai miei
Ufficiali delle pistolettate, e sciabolate a quei ,che
precipitosamente fuggivano,abbandonando il loro ufficiali…”.
Una relazione
di parte francese, apparsa sul Monitore napolitano del 9 giugno
1807 racconta ,fra l’altro come, dopo la disfatta, l’esercito
borbonico “ fuggì col
maggior disordine,abbandonando cannoni,
cassoni,munizioni,bagagli di cui era tutta coperta la strada di
Mileto a Rosarno… Il generale Camus restò con il 52° Reggimento
tra Mileto e Rosarno e distaccò più colonne mobili per radunare
li prigionieri sparsi nelle campagne e che, stanchi d’una così
veloce corsa, non si potevano più dare alla fuga”.
“La battaglia fu una delle più
sanguinose che si possa ideare-
scrive il
Colonnello Leone Toro - ma
alla fine si dové cedere ad un numero quasi quadruplo alla
nostra forza …”
– E, sempre quest’ufficiale racconta come il Maggiore Graduato
Giuseppe De Luca, nativo del posto (Nicotera) , lanciatosi alla
carica, al comando del suo plotone, rimaneva ucciso in
battaglia.
E’ pieno di
sentimenti di pietà il racconto del Generale Guglielmo Pepe
-patriota che aveva combattuto contro le bande sanfediste già
nel 1799- e che prese parte alla battaglia; egli racconta…”
Facevamo prigionieri ad ogni passo ed io accorgendomi d’un
ferito giacente sul suolo e circondato da vari de’ nostri, vidi
ch’era una povera donna vestita da soldato,la quale,trafitta nel
petto, teneva ancor ferma lo schioppo, e chiamava delirando suo
marito”.
Nella fuga
disordinata dal campo di battaglia i mercenari borbonici, che
costituivano le cosiddette “masse” di irregolari, spararono sui
propri commilitoni per spogliarli di ogni cosa : “
La fuga donò ardire ai vili, il
soldato assassinava l’ufficiale, i bagagli depredavansi da
questi col ferro recidevano le salme, e Valige; i vetturali
gettavano i Generi per salire a cavallo e fuggire, l’uno
calpestava l’altro, e tanti e tanti cadeano oppressi dagli
stessi compagni : fu tale il furto frà i nostri,che il nemico
nulla certamente ha trovato”.
(Dalla Relazione dell’Ufficiale borbonico Giuseppe Vanni ).
Altrettante
parole di fuoco indirizzava il Monitore napolitano del 9 giugno
1807 al Phillipsthal D’Hassia ( pare fosse gran bevitore di
vino) e ai briganti che componevano il suo esercito:
“Alli 27 (maggio 1807) dopo mezzo
giorno, Philipsthal mandò un parlamentario per pregare il
Generale Comandante in Monteleone di evacuare questa Città,sotto
il pretesto di evitare così gli orrori del sacco. ….Si poteva
egli lusingare d’impedire che fosse stato dato fuoco e sacco da
truppe senza disciplina, da Briganti coperti d’ogni sorte di
delitti,quando sotto gli occhi suoi, in Palme,in Seminara,in
Rosarno, ad onta delle sue salvaguardie,de’ suoi proclami si
erano saccheggiate più di 40 case, e massacrate tante persone
oneste; quando in Mileto quella stessa orda d’assassini infame
ché, per suo disonore il Principe d’Hassia portava con
lui,aveva, in sua presenza,saccheggiato diverse case fra le
quali quella stessa d’un Capo Brigante,tanto era grande la sete
di rapina,di sangue di quel scelerato stuolo spinto nella sua
rabbia dall’amore del Brigantaggio piucché dal desiderio di
servire Carolina (
regina,
moglie di Re Ferdinando- n.d.r.
), e di compiacerle”.
Il Re
Ferdinando IV per ricordare il luttuoso fatto d’arme, fece
coniare due medaglie che portavano sul dritto entrambe l’effige
di Ferdinando IV e sul rovescio l’una portava la scritta
BATTAGLIA DI MILETO IL DI' XXVII MAGGIO MDCCCVII Veduta del
castello e ponte; l’altra FORTIS IN ARMIS PRO DEO TERRECIS IN
MILITO 2
1.2 Aspetti
politici e strategici della battaglia.
Come scrive
Massimo Zanca , in uno studio che accompagna la ristampa del
libro di Francesco Pititto ad opera dell’Editore Pellegrini ,
1)
A determinare la politica
antifrancese del Regno di Napoli era stata la regina Maria
Carolina Carlotta di Lorena Asburgo. Essa era figlia di Maria
Teresa d’Austria e sorella di Maria Antonietta, ghigliottinata
durante la Rivoluzione francese. A causa dell’uccisione della
sorella , Carolina nutriva sentimenti di odio verso la
Francia.
2) Da uno studio di Tommaso
Ricciardi (1930) risulta che la seconda consiste in una medaglia
di Ferdinando IV ribattuta sul rovescio per ricordare la
battaglia di Mileto ( l’immagine stata pubblicata dall’Editore
Forni ,Sala Consilina –Bo ) .
Francesco Pititto , La Battaglia di Mileto ,Tip. Signoretta,
Mileto 1917,
Mario Spizzirri , La Battaglia di Mileto in : “Mileto nel
contesto storico-culturale dell’Italia meridionale”, Ed. Pro
loco 1999
(di Giuseppe Calzone )
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