La sorte dei prigionieri dell’ Esercito
Austroungarico in Italia negli anni della grande Guerra è uno
dei campi di indagine meno esplorati da quanti studiano gli
avvenimenti di quegli anni.
Alessandro Tortato se ne è occupato nel suo
libro “La prigionia di guerra in Italia”, edito da Mursia nel
2004 con la prefazione del Prof. Mario Isnenghi.
Lo avevo già letto quando mi sono
imbattuto, per puro caso, nei nomi di 30 militari deceduti
nell'Ospedale Militare di Catanzaro fra la seconda metà del 1918 e
il 1919.
E’ molto
probabile che la causa del decesso sia stata la terribile
influenza “Spagnola” che colpì l'Europa
provocando milioni di morti.
Anche il mio nonno materno Johann Klobas, che
si puo’ vedere nelle fotografie dell’ apposito sito di
cimeetrincee, ne fu vittima.
Quei poveri soldati provenivano da diversi
comuni della Calabria, segno che il loro utilizzo era stato
fatto sia dalle pubbliche amministrazioni che
dai privati, come ho potuto constatare nelle prime ricerche
successive.
Testimonianze della loro presenza sono
presenti e riconoscibili ed hanno anche costituito, come a
Crotone, un momento di commossa pietà quando, nei primi anni
’90, furono riesumati e restituiti ai loro Paesi i resti di 123
soldati i cui nomi sono elencati su due lapidi collocate nel
cimitero della città Jonica accanto al cippo che li ricorda.
La mia indagine è appena all’ inizio e spero
di poterla svolgerla nel miglior modo consentito per poi
pubblicare dati che consentano di avere idee bene approssimate
sulla prigionia di guerra in Calabria.
Altri amici si occupano dell’ argomento ed
hanno pubblicato degli articoli sui giornali locali.
Mi ha colpito quello scritto da Franco Capalbo che racconta la presenza di prigionieri ungheresi nel
Comune di San Sosti (CS).
Uno mori il giorno di Natale del 1918
a causa della “Spagnola”; un secondo conobbe una ragazza di un comune
vicino, San Marco Argentano, la sposò e al termine della Guerra
decise di restare nella nuova Patria, dove trascorse la sua
vita.
Entrambe le storie costituiscono l’argomento
dell’articolo che segue.
Nelle conclusioni si fa riferimento anche ad
un albero di ulivo, che ho visto e fotografato anch’io,
piantato il 4 Novembre 1918 in segno di pace
da quegli Austriaci che vi lavoravano in quanto “nemici”
catturati in battaglia.
E’ alto 10 metri e cresce ancora: un simbolo
che ricorda intensamente la storia di uomini di un altro Paese
che avevano trovato accoglienza ed umanità in Calabria ed
avevano deciso di raccontarlo ai posteri con un gesto che
identifica nell’ulivo il simbolo eterno della pace.
Mario Saccà
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