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L’ “Amalfi”
era un incrociatore corazzato varato il 5 maggio
1908 alle ore 10,30 dal cantiere Odero di Genova (Madrina la Signora
Odero) ed assegnato il 30 agosto 1909, come
Forza navale nel Mediterraneo, al Capitano
di Vascello Carlo Scotti.
Aveva una lunghezza di
140 metri, la larghezza di 21 mt. ed un pescaggio di mt.
7,40. A pieno carico pesava quasi 11 mila
tonnellate e navigava con due eliche ad una
velocità di 23 nodi. Era stata corazzata con
lastre di acciaio Vickers, spesse 20 centimetri
ed era potentemente armata con sei torri binate
ed altri armamenti.
Il 3 agosto 1913,
il Comune di Amalfi e la cittadinanza tutta
offrirono al Comandante della nave la bandiera
di combattimento racchiusa in un cofano di
bronzo dorato, sul genere degli antichi
forzieri, ideato dal pittore amalfitano Pietro Scoppetta
e realizzato dallo scultore napoletano Nicola Zavatti.
La bandiera di seta
finissima misurava mt. 6x4, mentre il cofano era di cm.
92x46x55, con formelle che rappresentavano gli eventi
più salienti della nobile Storia di Amalfi (lo stemma
cittadino, la bussola, la fondazione dell’Ordine dei
Cavalieri “Ospitalieri”, le Pandette e le Tavole
Amalfitane). Sul coperchio, poi, v’era la
riproduzione dell’affresco di Giulio Romano,
dipinto in Vaticano nella Sala dell’Incendio di
Raffaello, che raffigurava la Battaglia di Ostia
dell’846 contro i Turchi, alla quale avevano
partecipato anche le galee amalfitane. A parte,
poi, fu realizzata una pergamena ricca di
storia, di simbologia, di potenza e di gloria
amalfitana.
”A folle volo”
arrivarono sotto l’incrociatore “Amalfi”, accolti
dalla salve di cannone, dalla marcia reale e dagli
applausi di tutti i rematori delle numerose barche che
avevano fatto corona attorno alla nave. Per l’occasione
il Prof. Pasquale Gambardella, fine cultore di musica,
in occasione dell’inaugurazione della bandiera di
combattimento della Real Nave “Amalfi”, scrisse
l’”Inno alla Bandiera”.
Dopo la cerimonia
religiosa e di rito da parte delle Autorità
politiche e militari, fu ordinata “l’alzata
bandiera”, al grido di “Viva il Re”.
Il tripudio e la commozione furono al massimo.
Dal suo varo,
numerose furono le azioni di guerra e di pace effettuate in
Italia ed all’estero. Una notte, la nave “Amalfi”,
al comando del Capitano di Vascello Giacomo Riaudo,
navigava nell’Alto Adriatico, dopo essere partita dal
porto di Venezia. Mentre gli uomini erano al massimo
dell’attenzione, il 7 luglio 1915, alle ore 4.05, fu
colpita sul lato sinistro, nella parte centrale dove
erano le caldaie.
Il siluro, tipo G125
da 450 millimetri con carica da 140 Kg, lanciato con
precisione dal sommergibile tedesco U 26, mascherato da
sommergibile austro-ungarico UB-14, comandato dal C.C.
Heins von Heimburg, penetrò nello scafo. (n.d.r. La
Germania non era ancora in guerra con l’Italia, anche se
l’equipaggio, ad esclusione del capitano, era tutto
tedesco).
Il convoglio, costituito
da due torpediniere, perlustrando nel Mare Adriatico
l’area che da Venezia conduce alle Coste istriane,
doveva contrastare l’attività bellica dei sommergibili
austriaci che avevano base a Pola.
Il Comandante Riaudo,
verificato che la nave poteva reggere, e dopo aver
ordinato di azionare le pompe, decise di raggiungere
Venezia; ma l’enorme falla e la massa d’acqua che lo
scafo imbarcava, provocarono repentinamente lo
sbandamento della nave, inclinazione che aumentò
notevolmente, finché, innanzi all’impossibilità di fare
altro, diede l’ordine di abbandonare la nave.
Il Comandante Riaudo,
verificato che la nave poteva reggere, e
dopo aver ordinato di azionare le pompe, decise
di raggiungere Venezia; ma l’enorme falla
e la massa d’acqua che lo scafo imbarcava,
provocarono repentinamente lo sbandamento della
nave, inclinazione che aumentò notevolmente,
finché, innanzi all’impossibilità di fare altro,
diede l’ordine di abbandonare la nave.
In sei minuti la
nave si capovolse ed in quattro affondò.
L’abilità del comandante e la disciplina
dell’equipaggio fecero sì che su 719 uomini
d’equipaggio se ne salvarono 652.
Morirono, però, 67
uomini, compreso l’Ufficiale S. M. Giambattista Pellizzetti.
Gli ufficiali, prima che
l’Amalfi affondasse, riuscirono, dopo
l’equipaggio, a buttarsi in mare, mentre, il
comandante, per ultimo, abbandonò la nave. I naufraghi, con un mare
tranquillo, furono immediatamente raccolti dalle
torpediniere “Procione” e “Calipso”.
Furono momenti tremendi e
di grande sofferenza e dolore. Purtroppo il
destino dell’”Amalfi” era ormai segnato, perché
rapidamente affondò, piegata sul fianco sinistro, nel
mentre l’elica di dritta emergeva ancora in movimento.
Si ha notizia che il capo
macchinista che si era buttato in mare con gli altri
marinai venne risucchiato dal vortice della nave che
affondava. Quando emerse dai gorghi, un’elica, ancora in
movimento, gli tranciò un braccio. In prossimità
emergeva dalle onde il Capitano medico Gallina, il quale
accortosi dell’accaduto, si levò subito la cinghia dei
pantaloni. Tenendo con difficoltà a galla il ferito,
riuscì in contestuale a frenare l’emorragia, finché
furono poi entrambi raccolti stremati.
Il convoglio, prima di
allontanarsi, posizionò dei segnali per indicare il
punto dell’affondamento, ed infatti il 2 agosto 1915, a
distanza di pochi giorni dal siluramento, poiché lo
scafo si trovava ad una profondità di 30 metri, si
organizzò una prima immersione ricognitiva. Quel giorno avvenne un
evento eccezionale: la bandiera del cacciatorpediniere “Amalfi”,
che si trovava alzata sull’albero al momento
dell’affondamento, venne subito recuperata.
Numerose furono le critiche, perché l’errore che
venne contestato si riferiva soprattutto al
fatto che il convoglio era insufficientemente
protetto, perché la scorta al cacciatorpediniere
Amalfi doveva essere minima di sei unità e
non quindi di solo due navi appoggio. Cessata la Guerra, nel
1921, fu organizzata una missione con l’intento di
localizzare il relitto della nave “Amalfi”.
Cessata la Guerra, nel
1921, fu organizzata una missione con l’intento di
localizzare il relitto della nave “Amalfi”.
La localizzazione, in
questa circostanza, si presentò difficile, perché,
nonostante si avessero i punti di riferimento, il
ritrovamento si dovette effettuare con la tecnica del
cavo d’acciaio a strascico. Secondo le notizie fornite
dal palombaro che l’aveva guardata da vicino, la nave si
presentava capovolta e sprofondata nel fango sino alla
coperta. I tre fumaioli, la
plancia di comando e le sei torri armate binate erano
schiacciate dal peso dello scafo. Il rivestimento di
acciaio di 20 cm di spessore aveva malamente protetto la
nave. Con continue immersioni
ed esplosioni di cariche, la ditta appaltatrice Scavone
di Venezia recuperò, con grande guadagno, quasi tutto il
ferro e le due eliche di bronzo. Il 19 luglio 1920 il
Sindaco di Amalfi chiese al Ministero della Regia
Marina, a ricordo, il modello della reale Nave “Amalfi”.
Non fu possibile soddisfare tale richiesta perché il
modellino, se era stato realizzato, apparteneva al
Cantiere navale che l’aveva costruito e non era quindi
di proprietà dello Stato. In cambio però fu promessa la
stessa bandiera che gli Amalfitani avevano donato il 3
agosto 1913 alla sfortunata nave “Amalfi”. Nel
Museo Storico di Venezia è custodito invece il nome
della nave posizionato sulla poppa.
Intanto nel 1883 la Città di Amalfi aveva
donato un’altra bandiera di combattimento al
Regio incrociatore “Flavio Gioia”,
per cui, quando la nave fu dismessa dal naviglio attivo,
a seguito di specifica richiesta avanzata nel 1920,
anche questa gloriosa bandiera, unitamente alla bussola
di rotta e alla chiesuola ( il piedistallo su cui
poggiava la bussola), fu restituita insieme alla
bandiera della nave “Amalfi “ed agli altri
cimeli.
La consegna, con una grande cerimonia,
avvenne il 25 giugno 1922 e da quel momento
tutti questi gloriosi cimeli furono
collocati con grande sacralità nel Museo
Municipale di Amalfi.
In una raccolta di
Canzoni Napoletane, dal titolo “Piedigrotta di Guerra
-1914-1915-1916-1917-1918-1919”,
occasionalmente ho rinvenuto uno spartito musicale con
il testo di una canzone, resa in versi da Libero Bovio,
con musiche di Rodolfo Falvo, intitolata “I
Marinai d’Italia “ (Inno alla Marina).
Libero Bovio è ricordato
per i testi di “Reginella”, “Tu ca nun chiagne”,
“Chiove” ed altre celebri canzoni del repertorio
napoletano, il musicista Falvo, invece, chiamato il “Mascagnino”,
per la sua somiglianza col celebre autore, musicò alcune
celebri melodie come “Guapparia” e “Dicitencelle
vuje’”.
Nel rinvenuto testo dei “Marinai
d’Italia” vi sono dei versi che richiamano la
gloriosa nave “Amalfi”. Ecco l’intero
componimento:
Pe’ fratelli caduti - alle
nostre frontiere,
pe’ fratelli travolti -
nell’abisso del mare,
dalle Italiche navi - dalle navi guerriere
nuova luce di gloria -
alla patria verrà!
Sono
i morti di Lissa
che
oggi veglian su noi,
sono i pallidi eroi,
insepolti, - del mare -
…E l’Amalfi riappare
più terribile e fiera,
e la nostra bandiera,!
oggi, sventola al sol!
Sulle navi veglianti – or
si compiano i fati,
per i morti nel
mare – sia vendetta sui mari!
A martirio novello –
siamo tutti votati,-
Deh, si salvi la
Patria – che Dio vuole così!
Sono i morti di Lissa
ecc.
ecc.
Beh l’Amalfi è
affondata - il latino equipaggio
non depone le
armi - non ritorna alla terra,-
e alla nostra
frontiera - con più ardente coraggio
corre e grida:
Fratelli, siam salvi, siamo qua!
Sono
i morti di Lissa
ecc. ecc.
L’incrociatore Flavio
Gioia dei Cantieri di Castellammare di Stabia fu varato
il 12 giugno 1881. Con tre alberi a vele quadre solcava
i mari a vela e a motore, sempre a caccia dei mercantili
nemici. Aveva una velocità di 14 nodi ed era armata di
cannoni, mitragliette e tubi lanciasiluri. A bordo aveva
un equipaggio di 270 uomini. Nel 1892 fu trasformata in
Nave Scuola per gli Allievi dell’Accademia Navale di
Livorno, così come l’Amerigo Vespucci che aveva le
stesse caratteristiche e che fu varata, un anno dopo, il
31 luglio 1882. La Vespucci del 1882 era il prototipo
della nave Scuola Amerigo Vespucci varata nel 1931. |
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