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Le vicende della Grande Guerra sono tornate nei giorni
scorsi d'attualità in Fruli Venezia Giulia quando alcuni studenti di
Catanzaro, sono stati ospiti della Provincia di
Gorizia, in visita ai luoghi di martirio dei fanti della "Brigata
Catanzaro", che combatté da quelle parti
durante la Prima guerra mondiale. I ragazzi, seguiti da Pierluigi Lodi,
responsabile dell'Ufficio cultura e territorio della Provincia, hanno
incontrato l'attuale vicepresidente della Provincia, Roberta Demartin,
forte sostenitrice della necessità di tenere sempre vive la memoria
sulle tragedie delle diverse guerre e hanno avuto in quell'occasione
modo di visitare le trincee del San Michele, il Museo della Grande
Guerra di Borgo Castello, il sacrario di Redipuglia e, per ultima, Santa
Maria la Longa, località dove il 16 luglio 1917 vennero giustiziati
alcuni componenti la Brigata. La vicenda, ben nota alla storia, è stata
analizzata di recente da una serie di studi che hanno cambiato la
versione fin qui nota degli eventi.
È notizia recente che lo studioso catanzarese Mario Saccà è riuscito
intanto a scoprire i nomi di quei militari che subirono una fucilazione
a causa di una rivolta armata avvenuta nella notte fra il 15 e il 16
luglio 1917. I risultati della ricerca sono stati presentati lo scorso 5
ottobre a Poggio Imperiale nel corso di una manifestazione a cui ha
partecipato anche Giulia Sattolo, di Santa Maria la Longa, la quale ha
relazionato sull'episodio traendo spunto dalla sua recente tesi di
laurea: «A Santa Maria la Longa, importante base logistica del III Corpo
d'Armata, è il 15 luglio del 1917. È domenica, - riporta la Sattolo - e
nei baraccamenti posti nelle immediate vicinanze del paese friulano
stanno trascorrendo un periodo di riposo i fanti della "Brigata
Catanzaro", costituita dal 141° e 142° Reggimento
Fanteria. I fanti sono stressati dal lungo tempo passato in prima linea
e gli alti comandi hanno previsto per loro un lungo periodo nelle
retrovie. All'improvviso, come un fulmine a ciel sereno, accade qualcosa
di inatteso. Un fonogramma, giunto nella tarda serata, richiama in
trincea la Brigata. Esplode la protesta degli uomini in grigio-verde. Si
spara con le mitragliatrici. Si lanciano addirittura alcune bombe a
mano. Si manovra come se si avesse davanti il nemico. Sono prese di mira
le baracche degli ufficiali e si spara ad altezza d'uomo, cercando di
colpire chi tenta di fare da paciere. Alcuni militari si portano nei
pressi dell'abitazione del conte di Colloredo Mels, dove si pensa
risieda il poeta-soldato Gabriele D'Annunzio, sparando colpi di fucile
all'indirizzo dell'abitazione. Si contano i primi morti e feriti, tra
cui il fante poggimperialese Placido Malerba: una pallottola gli si è
conficcata al basso ventre, provocandogli una ferita molto grave che, il
giorno dopo, gli costerà la vita. La rivolta prosegue per tutta la notte
e si placa al sopraggiungere di una Compagnia di Carabinieri, quattro
automitragliatrici, due autocannoni e reparti della cavalleria. Nella
notte, sedata la ribellione, il Comandante della Brigata ordina la
fucilazione di quattro soldati, scoperti con le canne dei fucili ancora
calde. Avviene quindi la decimazione del resto della Compagnia. All'alba
del 16 luglio, sedici fanti (4+12 decimati) vengono passati per le armi
a ridosso del muro di cinta del cimitero di Santa Cecilia e posti in una
fossa comune».
È il primo caso di ammutinamento registrato nelle file del Regio
Esercito. I soldati erano reduci dai massacri del Carso ed erano stati
inviati a riposo nel paese della bassa friulana, stremati, denutriti e
con turni di riposo e di licenza ridotti al minimo. Avevano chiesto di
essere inviati nel Trentino, zona più tranquilla del fronte, ma arrivò
invece l'ordine di tornare in prima linea sul Carso insanguinato. Armi
alla mano, decisero allora di ribellarsi. Fu scritto che i loro corpi
vennero tumulati in una tomba comune e senza nome da dove, a fine della
guerra, furono recuperati e messi fra gli ignoti a Redipuglia.
Dell'evento si erano già ampiamente occupati i libri di storia sulla
Prima guerra mondiale, oltre che la Rai in un recente servizio a cura di
Alberto Angela.
Ma dalle ricerche di Mario Saccà si hanno notizie molto diverse. Tutti i
caduti durante la ribellione, in realtà, furono tumulati nell'Ossario di
Udine, che si trova nella chiesa di San Nicolò. Inoltre le vittime della
fucilazione risultano essere sedici e non ventotto come si credeva, la
maggior parte siciliani, calabresi e pugliesi. Il numero di ventotto
fucilati - riportato prima d'ora dalle cronache - coinciderebbe, invece,
con la somma dei sedici nomi di fucilati trovati da Saccà, più i dodici
(anch'essi ritrovati), colpiti dai rivoltosi e poi morti nell'ospedale
da campo 206. Di essi, in realtà, uno morì per una grave uricemia da
nefrite.
In quel giorno, insomma, morirono in effetti ventotto persone nel comune
friulano, ma il numero comprende, molto probabilmente, tutte le vittime
dello scontro armato.
Va anche detto che i sedici fucilati appartenevano tutti al 142°
Reggimento, mentre nessuno del 141° vi è nominato, contrariamente a
quanto scritto nei testi ufficiali e nei libri di storia.
La scoperta di Mario Saccà apre nuovi interrogativi sull'intera vicenda,
quasi azzerando molti degli aspetti ufficiali. Essi riguardano sia la
componente "politica" socialista che qualcuno attribuisce alla rivolta,
sia il comportamento degli ufficiali e dei vari livelli di comando. |
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