CALABRIAINARMI

 " PER LA PATRIA! "

 
 

    "PAOLO OPIPARI

 (12.01.1908 - 07.07.1940)"

   
 

 

Paolo Opipari, a 18 anni,lascia il suo paese, Zagarise, e si arruola nei bersaglieri.

Con il grado di Sottotenente, effettivo al 7° Bersaglieri (Bolzano) il 19 luglio 1938 chiede ed ottiene il trasferimento in Africa Orientale Italiana, nel 55° Battaglione Coloniale. Il 7 luglio del 1940 perde la vita durante i combattimenti per la presa di Kurmuk, in Sudan, combattimenti ai quali aveva chiesto di partecipare nonostante il parere contrario del suo Maggiore, di cui era Aiutante.

Il Giornale d’Italia del 28 luglio 1940, n. 180, rende omaggio al suo eroismo: “L’intervento di un pugno di dubat è stato immediato. Guidati dall’ufficiale si sono lanciati contro la raganella diabolica come saette. I roccioni sono stati raggiunti con la fulmineità di falco che piomba sulla preda. Il subalterno calabrese, un uomo bassetto dalle fiamme cremisi, con una capigliatura bruna come le macchie cupree della sua Sila, la mandibola sagomata e le gambe falcate scattanti, è caduto fra i massi che scaraventavano fuoco. Il bersagliere di Lamarmora non è smentito”.

Il Giornale d’Italia del 1° agosto successivo ritorna su “L’audace manovra per la conquista di Kurmuk...Rapidissima era l’azione: ascari e dubat, le armi levate sul capo, guadavano il torrente impetuoso e raggiunta l’opposta sponda si lanciavano all’assalto. La pioggia, che fino a quel momento aveva continuato a cadere con violenza, cessava quasi di colpo. Gli ascari e i dubat, che si erano acquattati dietro alcuni massi per sfuggire all’intenso fuoco dei mitragliatori inglesi, richiamati dalla voce dell’ufficiale, un calabrese tarchiato, ripigliavano l’avanzata, incuranti delle raffiche di fuoco ed eccitati da un dovere che ora è al di sopra di tutto: vendicare l’ufficiale che, piegato su un fianco, incita ancora i suoi uomini con la voce che si va spegnendo e col gesto del braccio prossimo ad irrigidirsi...”

Un altro giornale, Il Mattino Illustrato, del 12-19 agosto 1940, n. 33, all’episodio dedicava l’intera copertina, intitolata. “Eroismo di bersagliere”, commentando: “Dopo l’azione dei nostri aerei su Kurmuk, nell’Africa Orientale, ascari e dubat si lanciavano all’assalto. Un ufficiale bersagliere, calabrese, alla testa di un pugno di uomini, scattava contro una mitragliatrice celata dietro grossi massi, e, colpito mortalmente, continuava con il gesto della mano ad incitare i suoi soldati finché, vista catturata la mitragliatrice, le forze lo abbandonavano e le sue fiamme cremisi si confondevano con il suo sangue”.

 

zio

 

Proposto per la Medaglia d’Oro al Valore Militare, con Decreto del Presidente della Repubblica del 27/05/1952, fu insignito della Medaglia d’Argento con la seguente motivazione: “Aiutante maggiore del battaglione, già distintosi per ardire, mentre stava portando un ordine a reparti lontani, accortosi che reparti più vicini stavano assaltando alla baionetta, ritornava indietro, li raggiungeva e, partecipando all’assalto, cadeva fulminato a pochi passi dalla ridotta nemica. Kurmuk (A.O.), 7 luglio 1940”.

Il comune di Zagarise gli ha intitolato l’edificio scolastico.

Fin qui le notizie ufficiali, ma è interessante seguire le vicende del caduto attraverso la corrispondenza tenuta con i suoi cari.

Il primo ottobre 1938, dall’Etiopia (Afodu, nei pressi di Asosa), rassicura il vecchio genitore: In salute sto benissimo, ti ho già detto quali sono le bestie feroci che ho incontrato qua in Africa: Gli uomini bianchi. Niente pulci penetranti, che sono la tua ossessione, papà, niente belve, niente disagi. Solo un po’ di solitudine. Ma questa non fa male, anzi serve per completare la formazione del carattere. Dicendo solitudine intendo una cosa relativa e non assoluta perché oltre a tutti gli ascari siamo in 14 ufficiali. Nella stessa lettera, rivolgendosi all’amato fratello Vitaliano, scrive: Cosa dirti della mia vita Africana? Non saprei. Noia, solitudine, mancanza di qualche comodità (teatro – cinema – auto pubbliche – caffè – doccia et similia) ma ho tutto ciò che è necessario per vivere. Mi è quindi sufficiente né –per il momento- sento bisogno di altro. Fra due anni forse...Dimmi un po’: qual è la situazione politica del giorno? Cosa succede in Europa? Qui siamo isolati da Dio e dagli uomini, che pacchia!

Per il 15 dicembre del 1940 dovrebbe essere promosso Tenente, ma intervengono delle norme dettate per incentivare l’incremento demografico, che rinviano la promozione dei celibi. Opipari, da Mendi, si rammarica moltissimo della: problematica mancanza di moglie, è proprio destino che debba fare l’aiutante maggiore per tutta la mia vita militare! (lettera del 20 agosto 1939); non mi promuoveranno tenente perché sono scapolo ed ho superato i 30 anni. Anche volendo qui non saprei dove trovarla (lettera del 22 settembre 1939).

Il 6 ottobre 1939, ad otto mesi della sua tragica fine, comunica alla cognata una sorta di presagio: Parlo di casa mia o meglio di casa vostra perché io ne sono ormai lontano da 14 anni e non so quando e se vi farò ritorno. Ed il 30 dicembre successivo, messo al corrente di una brutta infezione contratta dalla sorella Irma (ne morirà il 3 gennaio 1940), cerca di consolare la madre e nello stesso tempo esprime la sua profonda amarezza: Fatti coraggio e abbi quella fede in Dio che io, purtroppo, ho rinunciato ad avere. Da sei mesi a questa parte è una serie continua di disgrazie e di disavventure che mi capita sul capo. E pure ritengo di non aver mai fatto del male a nessuno. Quali peccati debbo scontare? E perché se li debbo scontare io mi si colpisce negli affetti più cari? Non è giustizia, questa.

Ma il destino non è appagato. Sin dal febbraio 1940 chiede una licenza per rientrare in Italia, dove ha intenzione di cercare e prendere moglie, e la ottiene solo per la fine di maggio, troppo tardi!

Il 20 maggio 1940 da Addis Abeba invia una cartolina postale: Sono ad Aba dal 13 sera e spiacentissimo debbo comunicarvi che causa la chiusura delle licenze e rimpatrio debba ritornare al Battaglione. Non si sa quando sarà possibile venire su.

Ed il 24 giugno al fratello scrive: non c’è bisogno che ti dica che sto benissimo. Finalmente si fa qualcosa e non si marcisce nelle guarnigioni.

Alla famiglia Opipari arriva poi la notizia del decesso di Paolo Opipari, avvenuta il 7 luglio del 1940. Il vuoto lasciato fu incolmabile. Il fratello Vitaliano portò da allora sempre la cravatta nera, togliendola solo in occasione dei matrimoni dei due figli, e ne rinnovò il nome con il primogenito, solo al secondogenito impose il nome del genitore, Guglielmo; e la vecchia madre periodicamente toglieva le divise del figlio dal baule, dove erano riposte perché si mantenessero meglio, ed ogni due giugno, quando in televisione sfilava la fanfara dei bersaglieri, piangeva a dirotto.

Il 17 luglio 1940 Pietro Gazzera, generale designato d’armata governatore e comandante dello scacchiere sud comunica: “L’improvvisa immatura morte del S.Tenente Opipari Paolo nel compimento del suo dovere mi ha profondamente addolorato. La sua memoria, come quella di tutti i caduti per la conquista e la valorizzazione dell’Impero, sarà sempre nell’anima degli Italiani. E questo culto è un conforto, sia pur lieve, al vostro e nostro dolore. Nell’esprimervi le mie più vive condoglianze, penso sarà di conforto per voi il sapere che al compianto S.Tenente Opipari sono stati resi tutti gli onori che spettano a chi ha fatto la suprema offerta per la potenza dell’Italia Fascista”.

Il successivo 11 ottobre il Ministero della Guerra informa il Comando Stazione Carabinieri di Zagarise che “la salma del sottotenente Opipari Paolo è tumulata a Dull (residenza di Asosa) a 300 metri del fortino omonimo. La tomba è contraddistinta da una croce cristiana con l’indicazione del nome del valoroso ufficiale”; ed il 25 novembre rende noto al padre del caduto di aver interessato il comando da cui questi dipendeva per la fotografia del luogo della sua tumulazione, e si dice spiacente di non poter aderire alla richiesta di rimpatrio della salma.

Ma i familiari cercano di saperne di più ed uno zio del Sottotenente, residente a Roma, oltre ad avere conferma che il nipote si era offerto volontariamente per partecipare all’azione di guerra, apprende che era stato colpito da una pallottola in fronte e che all’azione aveva partecipato il Tenente Sazzi Gino, di Arceto, provincia di Reggio Emilia.

Il fratello Vitaliano scrive al Tenente il 30 aprile 1946: “Mi perdoni se vengo a disturbarla: sono il fratello del Tenente Opipari Paolo. Poiché mi risulta che lei era presente al suo ultimo combattimento ed alla sua gloriosa fine, gradirei avere più dettagliati particolari. Mi scriva a lungo e mi parli di LUI anche in quelli che a lei potranno sembrare superflui. Lei, ne sono certo, esaudirà questa supplica che anche mia madre, benedicendola, le rivolge col cuore sanguinante ed in ginocchio! Restiamo in attesa certi che la sua verrà a dissipare il buio l’incognito ed il tormento che da lunghi anni ci opprime!…Mi creda suo dev/mo Vitaliano Opipari”. Ma risponde la moglie, il 25 maggio successivo, comunicando che il marito è ancora prigioniero degli inglesi. Il 16 dicembre del 1946 arriva la seguente lettera a firma del finalmente libero Sazzi:

“Egregio Sig. Opipari,

giunto a casa, mia moglie mi ha parlato del suo vivo desiderio di avere notizie del carissimo Paolo. Sono dolente di poterlo fare solo ora, ma capirà e scuserà trovandomi io allora in prigionia, dove purtroppo ho trascorso ben 65 mesi. Mi sorprende che a tutt’oggi loro non abbiano avuto notizie particolareggiate della cosa, lo stesso Comandante del Battaglione avendo promesso di scrivere a nome di tutti. Per questo, ce ne siamo astenuti allora e dopo. Capirà che il rinnovare un dolore sì grande fa sempre male e molte volte porta a non farlo. Mi permettano quindi, ora, di esprimere loro il mio profondo cordoglio e vogliano scusare per il forte ma giustificato ritardo. Io parlai del povero e caro amico in prigionia ed avrei anche scritto loro se avessi pensato una cosa simile. Col povero Paolo eravamo insieme dal ’38. fu il primo ufficiale del 55° Btg che io conobbi a Mendi e diventammo subito buoni e carissimi amici. Simpatia immediata e rispondenza di carattere ci ha stretti subito in un vincolo indissolubile. L’armonia regnava al Battaglione molto e soprattutto per merito suo, ed in virtù del suo cuore d’oro. Tante belle giornate passammo insieme a Mendi prima e ad Asosa dopo, benché lo scoppio della guerra ci abbia aumentati i disagi e non poco le preoccupazioni. Ad ogni modo cessati i pericoli immediati, bombardamenti soprattutto, ci si sentiva maggiormente legati tra di noi ed il sentimento di amicizia andava man mano trasformandosi in affetto sempre più forte. Poi venne l’ordine della nostra prima operazione di guerra. Eravamo ad Asosa, accampati in un canneto nei dintorni del paese. Stavamo maluccio – si era nel pieno delle piogge ed in zona oltremodo malarica – ma non ci si pensava. La vita era bella ugualmente e lo spirito che ci animava sempre più forte. Era il 2 di luglio del ’40. Parte del Battaglione doveva partecipare al colpo di mano su Kurmuk (Sudan), insieme ad un folto gruppo Bau...(illeggibile) di confine. Il Maggiore pertanto non voleva esporre anche l’Aiutante Maggiore, ma il nostro buon Paolo per non essere eventualmente criticato, ha espresso il desiderio di essere tra i partenti. Stetti con lui la sera prima. L’azione si svolse per un contrattempo non il 5 ma il 7 luglio. Mi sembrava preoccupato. Era il suo primo contatto col nemico. Lo confortai, o meglio parlammo a lungo insieme e ci lasciammo rassicurati e contenti. Fu l’ultima volta che lo vidi, purtroppo. Noi infatti all’ultimo momento fummo tenuti di riserva a qualche Km dal luogo dell’azione. Me ne dispiacque, perché avrei voluto essere al suo fianco, raccogliere il suo ultimo respiro, tenermelo a lungo fra le braccia, ma il destino non l’ha voluto. Attaccato il posto nemico e rotte le prime difese, entrarono e, come d’ordine, misero a ferro e fuoco tutto. Resisteva un fortino in cemento ancora. Il nostro caro ed eroico caduto si lanciava su quello con un manipolo di fedelissimi, con uno sprezzo del pericolo veramente ammirabile, ma come tutti i generosi poco dopo cadeva. Una palla nemica lo raggiungeva in fronte e lui esalava l’ultimo respiro senza un battito di palpebre né un lamento, guardando in faccia quel nemico che poco dopo era messo in fuga precipitosa dai superstiti fedelissimi, che lo vendicavano a colpi di bombe. Povero Paolo, il dovere sempre vivissimo in lui e lo spirito bersaglierasco che lo animava l’aveva portato ad una fine gloriosa, a quel premio cui gli eroi come lui aspirano e per il quale rimangono e rimarranno vivi sempre, come fulgidi esempi di eroismo incomparabile. Riposa ora a due Km dal confine sudanese, guardia vigile di quel territorio che tutti amavamo, ed a poca distanza dai colleghi di Btg. Parazza e Tocco pure caduti gloriosamente alla testa dei loro Reparti nel marzo ’41. Ero in possesso della fotografia della sua tomba, ma il destino ha voluto privarmi anche di quella. La medaglia d’oro che gli propose il Comandante Ramacci spero gli sia stata conferita perché mai premio migliore potrà essere assegnato ad un bravo ed eroico caduto come il nostro. Iddio speriamo l’abbia in gloria e da lassù preghi per la sua mamma adorata e per tutti i suoi cari rimasti. Avevo conservato per ricordo qualche suo oggetto, tra cui la pistola, ma la fine fatta mi ha vietato anche quel conforto. Non si affliggano maggiormente, ma siano invece orgogliosi di aver dato alla Patria un figlio sì generoso, invidiato e venerato da tutti per le sue virtù. Rinnovo il mio profondo cordoglio, e mi unisco a loro nel dolore e nella preghiera. Molti ossequi

Devmo  Gino Sazzi”

 

kurmuk

 

Ubicazione di Kurmuk

Ma queste non furono le ultime notizie. Un suo soldato di Auronzo del Cadore, Sig. Vecellio, indirizzava a casa Opipari, ad ogni anniversario della morte, una cartolina. Dopo circa mezzo secolo, per l’esattezza 48 anni, nel 1988 il figlio maggiore del fratello Vitaliano, quel Paolo che l’aveva rinnovato, si recò a trovare l’ormai vecchio commilitone. L’accoglienza fu calorosissima. Il soldato raccontò che era sempre insieme al suo Sottotenente, al quale lo legavano vincoli di incommensurabile affetto. Commosso ne rievocò la morte, alla quale aveva assistito, svelando particolari taciuti da tutti, sicuramente per non rattristare i parenti: causa del decesso non era stata una pallottola in fronte, come riportato dalle due fonti sopra citate, ma una sventagliata di mitraglia che l’aveva attinto al ventre (la parola usata fu: sbudellato), causando una morte più lenta e dolorosa; né il luogo di sepoltura, sotto una siepe, fu contraddistinto da una croce o qualche altro segno.

Al ritorno a casa il nipote Paolo Opipari si consultò col fratello e decisero di continuare a tenere nascosta alle superstiti sorella e cognata del bersagliere la verità, ancora più triste!

 

     

 

 

                                                                                                                             Nando CASTAGNA                   

 

 

 
 

 

   
     
     

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