CALABRIAINARMI

"PER LA PATRIA!"

 

 

 

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L'ULTIMA LETTERA DEL CAPORAL MAGGIORE GIUSEPPE ZOFREA

 

 
   

Il 12 dicembre 1942, a seguito di quella che fu definita la seconda battaglia del Don, risultava disperso in combattimento il caporal maggiore Giuseppe Zofrea di Squillace (CZ) il quale si trovava in Russia con l’Armir (8a Armata italiana in Russia) da alcuni mesi. Con questa sconfitta, che provocò quasi 85.000 perdite tra morti, dispersi e prigionieri, iniziò il terribile ripiegamento italiano effettuato quasi tutto a piedi in condizioni proibitive con tantissimi feriti e congelati e di conseguenza si determinò la fine delle operazioni militari in Russia.

L’Armir era stata costituita a luglio 1942 in sostituzione del Corpo di Spedizione Italiano in Russia formato l’anno precedente. L’Armata comprendeva 230.000 uomini e fu posizionata lungo le rive del fiume Don su un fronte lungo ben 230 Km.  Mussolini aveva deciso di inviare truppe in Russia nell’ambito dell’operazione Barbarossa a sostegno dell’alleato tedesco. Lo scopo era di coprire il fianco sinistro dell’esercito tedesco che invece avanzava verso Stalingrado. Ad agosto c’era già stata una prima battaglia del Don che causò 43.000 perdite italiane, mentre dall’11 dicembre  fino al 31 gennaio 1943 si combatté la seconda. Si trattò di una battaglia difensiva finalizzata ad arginare l’avanzata russa ma fu una disfatta a seguito dello sfondamento delle linee italiane da parte dell’Armata Rossa; a quel punto l’esercito italiano dovette ripiegare nel tentativo di superare l’accerchiamento sovietico che procedeva speditamente per bloccare ogni via di fuga . Ci furono anche screzi tra i comandi italiani e tedeschi, quest’ultimi poco inclini ad aiutare gli alleati per facilitarne la ritirata.

Zofrea, nato nel 1924, si era arruolato volontario e dopo un periodo in Marina era transitato nell’Esercito ed  inquadrato, come mortaista, nella 9a Divisione di fanteria autotrasportabile Pasubio (V battaglione – 3a compagnia). Questa Divisione era stata inviata in Russia nel 1941 ed aveva partecipato, nella fase iniziale dell’avanzata sul territorio sovietico, a vari combattimenti contro l’Armata Rossa uscendone vincitrice. Lo stesso generale tedesco Schobert scrisse al comandante del CSIR Giovanni Messe che la Pasubio con la conquista di alcune località aveva contribuito moltissimo alla vittoriosa avanzata dell’11a Armata germanica.

La grande unità contribuì anche alla conquista del bacino del Donetz. Dopo ulteriori avanzamenti iniziarono invece le battaglie difensive dell’agosto del 42 che man mano fecero perdere  terreno fino alla definitiva ritirata. Pochi giorni orsono dalla proloco di Squillace è stata consegnata al fratello Francesco la sua ultima lettera scritta dal fronte. La lettera, pur essendo giunta in Italia, per cause ignote non era mai stata recapitata alla famiglia. Nella missiva, datata 16 novembre 1942 (certamente l’ultima prima della sua scomparsa) il giovanissimo militare, appena diciottenne, scriveva alla mamma rassicurandola sul fatto  di stare bene e di non preoccuparsi della sua salute ma invogliando i suoi cari a scrivergli più spesso per ricevere notizie da casa.

Nella stessa lettera emergono amor di Patria, amor filiale, affetti familiari, cameratismo. Con una grafia molto chiara e leggibile i contenuti sono particolarmente emozionanti e denotano sicuramente una personalità molto motivata ma al contempo legata alla propria famiglia. Significativa la fine della lettera, quasi a mò di testamento spirituale,  in cui Giuseppe Zofrea scriveva : “ricordatevi di quello che parla questa carta”!

Il caporal maggiore Zofrea rientra tra i 100.000 soldati italiani, nella maggior parte alpini, mandati a combattere in Russia (che si uniscono alle centinaia di migliaia di morti nei vari fronti  durante la seconda guerra mondiale: Balcani, Africa, Francia, Mediterraneo) con equipaggiamenti ed armamenti inadeguati e che non tornarono più alle loro famiglie (i caduti calabresi furono oltre 2000). Tantissimi furono i dispersi o prigionieri che poi morirono di fame, malattie e stenti. Addirittura a fronte di 68.000 prigionieri, 20.000 morirono durante l’invio ai campi di concentramento sovietici e 37.000 all’interno dei campi a causa di freddo, malattie, stenti e privazioni. Solo 11.000 uomini ritornarono a casa alla fine degli anni quaranta. Fu una terribile disfatta le cui conseguenze si palesarono in Italia già  nella primavera del ‘43 ed il malcontento che scaturì dai reduci e dai sopravvissuti si unì alla sempre più manifesta volontà del popolo italiano di non continuare la guerra. Purtroppo il conflitto, trasformatosi in guerra civile, continuò per altri due anni  portando nuovi lutti e devastazioni.

Vincenzo Santoro 

Ringrazio le famiglie Zofrea - Cosco per la documentazione e le informazioni fornite.
     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

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