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Un
soldato dimenticato, è il caso dire, figlio unico di madre vedova.
Di
lui ho sentito parlare fin dalla mia infanzia, quando la madre, amica di
mia nonna, frequentava la mia casa. La rivedo alta, pallida in viso, con
i capelli bianchi raccolti sul capo, imponente nel comportamento,
vestita a lutto, mai in lacrime, faceva sempre ricadere i suoi discorsi
sulla sorte del figlio che non cera più;
allora,
addolcendosi nello sguardo, con tono sommesso ripercorreva alcuni
momenti della breve vita di Ezio.
Mi regalava fogli, quaderni, matite, squadre da disegno e un giorno mi
consegnò una cartella di cartapesta a tracolla color rosso mattone che
io utilizzai i primi anni di vita scolastica con laccortezza di non
sciuparla perché, mi si diceva, appartenuta ad un eroe.
E sì,
Ezio Manica, bello, buono, dagli occhi espressivi e dalla chioma
ricciuta, era nato a Catanzaro in una casa di Via Bellavista, educato
nella fede cristiana, aveva frequentato le scuole elementari della
Maddalena, plesso Carbone e, dimostrando attitudine per la Matematica e
la Geometria, aveva proseguito gli studi nelle scuole tecniche
conseguendo il diploma di geometra. La sua vita scorreva facile,
sinseriva nella libera professione con la speranza di poter coronare il
suo sogno damore con una giovane maestrina vicina di casa.
Purtroppo la situazione della politica italiana vacillava, la Grande
Guerra con le sue innovazioni tecnologiche aveva causato enormi
distruzioni mietendo uninfinità di vittime, la vittoria era stata
mutilata nel mancato rispetto del patto di Londra. Il giovane nelle
sue letture si era nutrito di ideologie patriottiche soffermandosi sulle
pagine dei libri di storia risorgimentale. Il Fascismo, inoltre, mirava
ad accentuare il concetto di nazionalismo e, attraverso il controllo
delleducazione degli studenti dalla scuola al tempo libero, dallo sport
alla radio, faceva conoscere e interiorizzare i valori del regime.
Il 10
giugno 1940 dal balcone di palazzo Venezia a Roma, Mussolini annunciava
la dovuta entrata in guerra dellItalia con il famoso e persuasivo
discorso che trovava moltissimi consensi.
Ezio,
spinto da ardore patrio, alletà di ventidue anni si arruolava
sottotenente di fanteria e si allontanava per la prima volta dalla sua
città natale. Della sua vita militare non si ha una documentazione, si
sa che fu sempre in attività nella mischia nei continui scontri a fuoco.
Un
giorno i carabinieri bussarono alla porta della casa della madre che
viveva di attesa. Nessuno del vicinato, nonostante la loro insistenza,
aveva avuto il coraggio di accompagnarli. Donna Rosina nel vederli, alla
domanda di quando avesse ricevuto lultima missiva del figlio, senza
dare risposta, si accasciò su una sedia. Aveva perduto il suo ultimo e
più caro affetto. Ezio era morto in Croazia alletà di venticinque anni
in seguito a ferite riportate alladdome con «susseguente emorragia
interna».
Il
libro Gli Azzurri dei due mari nel menzionarlo con medaglia
dargento alla memoria annota: «Comandante interinale di Compagnia
Mitraglieri, dopo una giornata dintenso combattimento, circondato da
soverchianti forze nemiche, persisteva con tenacia nellimpari lotta
benché colpito ripetutamente cadeva da valoroso».
Gli
amici di Catanzaro vollero riportare sul ricordino queste struggenti
parole:
Mamma,
ho creduto in Dio
nella mia patria e in te.
Mamma, ho ubbidito Dio
poi
la mia patria e te.
Mi
hai visto in grigio verde:
non
mi vedrai mai più.
Oggi
sono volato
combattendo, lassù
Dove
stanno coloro
che
aspettano con fede
La
vittoria che arride
solo
a colui che crede.
Donna Rosina, sola e silenziosa, si abbandonava ai ricordi, sosteneva di
convivere con lanima del figlio, la gente impressionata dalle sue
narrazioni evitava di rivolgerle parola mentre lei si isolava sempre più
dal mondo esterno.
Un
brutto giorno nello stendere la biancheria, la pavimentazione del
balcone cedette e finiva così i suoi giorni infelici sul terreno, per
lei certamente tra le braccia vigorose del figlio.
Francesca
Rizzari |
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