CALABRIAINARMI

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LA DECIMAZIONE DELLA BRIGATA CATANZARO

 
 

 

All’alba del 16 luglio 1917 veniva repressa nel sangue la più grave rivolta avvenuta in seno all’esercito italiano durante la Prima guerra mondiale iniziata la sera prima da appartenenti prevalentemente al 142° reggimento della Brigata Catanzaro.

La rivolta era scoppiata quando era circolata la notizia che la grande unità sarebbe tornata nuovamente in prima linea, contrariamente a quanto promesso ai soldati, e cioè il trasferimento verso il fronte trentino  ritenuto più sicuro in confronto a quello carsico, ma già da qualche mese si erano manifestati vari episodi di indisciplina causati dall’atteggiamento dei soldati che si ritenevano sfruttati e peggio trattati in confronto ai componenti di altre brigate di fanteria.

La brigata Catanzaro si era distinta fin dall’inizio della guerra in termini di valore e sacrificio. Aveva partecipato alle più sanguinose battaglie dell’Isonzo e sul San Michele; era stata provvisoriamente trasferita, nel maggio 1916,  nella zona degli Altopiani per arginare il raid punitivo austriaco e si era coperta di  valore sul Monte Mosciagh; tanto che il 141° reggimento aveva meritato la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla bandiera, e furono solo 9 i reggimenti (su oltre 270) che ebbero la massima onorificenza al valor militare (ricevuta motu proprio dal Re) appena effettuata un’azione eroica e non  a guerra finita.

La brigata di ferro, così come veniva chiamata, era considerata anche dall’esercito avversario come una delle prime tre grandi unità italiane più temibili (preceduta dalle brigate Granatieri di Sardegna e  Sassari).

Era stata costituita a Catanzaro nei primi mesi del 1915, nell’imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia, dando da subito un contributo elevatissimo al conflitto in termini di sangue e di eroismo.

Quando i primi di luglio  di 101 anni addietro, dopo essersi dissanguato in 27 mesi di conflitto, il reparto venne portato a Santa Maria la Longa (Udine), i soldati erano convinti che la guerra sarebbe continuata su un altro fronte meno pericoloso ma, appena la notizia del ritorno in prima linea si diffuse, alcuni fanti, soprattutto della sesta compagnia, la sera del 15 si impossessarono delle armi in armeria iniziando uno scontro contro i soldati lealisti ed ufficiali intervenuti per reprimere la rivolta e molti militari morirono in queste prime fasi. Considerato che non si riusciva a venire a capo della ribellione il comando di Divisione inviò un reparto di cavalleria e di carabinieri che sedarono la rivolta anche grazie all’uso di armi automatiche. Alcuni soldati arrestati con le armi in pugno vennero passati immediatamente per le armi attraverso la pratica dell’esecuzione sommaria, cioè fucilazioni senza processo quando i colpevoli di un reato militare erano ben individuati; per gli altri soldati della sesta compagnia, nell’impossibilità di risalire all’identità dei responsabili,  scattò la decimazione e cioè la scelta arbitraria attraverso conta o sorteggio di un soldato da fucilare ogni dieci appartenenti a quel reparto con lo scopo di dare l’esempio  a tutti gli altri commilitoni. I soldati (il cui numero esatto  non è riscontrabile) vennero giustiziati sul muro di cinta del cimitero della cittadina friulana avendo come testimone D’Annunzio che successivamente pubblicò un componimento alla loro memoria.

Il sistema disciplinare nell’esercito italiano era molto severo e la stessa decimazione, pur non essendo prevista come pena dal codice penale militare vigente, venne attuata più volte a seguito specifici ordini e direttive emanate dal comandante supremo Gen. Armando Cadorna con lo scopo di seminare il terrore tra i soldati. In generale tutti gli eserciti contendenti attuarono forme repressive molto cruente basate sul  principio dell’esemplarità, in maniera da arginare e reprimere i reati militari tipici di una guerra di logoramento e di posizione quale fu la Prima guerra mondiale.

La brigata Catanzaro, che già nel maggio 1916 aveva subito un’altra decimazione (ingiusta, come accertò un tribunale militare qualche mese dopo), dopo l’episodio di Santa Maria la Longa venne ovviamente inviata in prima linea ove continuò a combattere con la tenacia di sempre fino al termine della guerra, dando un contributo determinante alla vittoria delle armi italiane. 

Vincenzo SANTORO

 

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