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da CATANZAROINFORMA

 
 

ARTE E CULTURA / Una rassegna cinematografica sull'avventura coloniale italiana

L'iniziativa dell'associazione "Calabria in armi" e della Cineteca della Calabria. Domani la tavola rotonda

Domenica 21 Ottobre 2012 - 18:18

L’Associazione Culturale Calabria in Armi e la Cineteca della Calabria, nella ricorrenza dei cento anni dall’impresa di Libia (1912), nonché i settant’anni dalla battaglia di El Alamein (1942), hanno dato vita ad una rassegna cinematografica che ripercorrerà la storia del colonialismo italiano,  dagli ultimi anni dell’ Ottocento alla fine di tale fenomeno, che coincide con la Seconda Guerra Mondiale; evidenziando contestualmente come il colonialismo italiano sia stato preceduto, in misura maggiore, da quello di grandi stati europei.  Titolo della rassegna è : “Sventoli il Tricolore – L’avventura coloniale italiana da fine Ottocento alla Seconda Guerra Mondiale”. Il colonialismo italiano è un argomento storico poco approfondito e studiato, ma in realtà importante, visto che ha scandito per oltre sessant’anni le vicende del mondo, in particolare di quei paesi che gravitano intorno al bacino del Mar Mediterraneo. A tale storia hanno partecipato anche i nostri corregionali, com’è ampiamente documentato nelle fonti storiche nazionali e locali.

Il calendario della rassegna, che si svolgerà interamente a Catanzaro presso la sede della Cineteca della Calabria in Scesa Eroi 1799,  prevede:

Lunedì 22 ottobre alle ore 18,00, una tavola rotonda nel corso della quale saranno ripercorse le tappe storiche più importanti del colonialismo italiano ed europeo. Si parlerà dell’impresa di Libia e della campagna d’Africa, nonché  del cinema coloniale e di propaganda. L’industria cinematografica d’altronde in quel periodo fu particolarmente feconda e ricca di spunti interessanti.

Dal 23 al 26 ottobre, con inizio delle proiezioni alle ore 20,30, si terrà invece la rassegna cinematografica con la seguente programmazione:

Martedì 23 ottobre Abuna Messias; Mercoledì 24 ottobre I quattro bersaglieri; Giovedì 25 ottobre Il Leone del deserto; Venerdì 26 ottobre alle ore 10,00 Divisione Folgore per le scuole ed alle 20,30 Giarabub.

Le proiezioni riguarderanno film italiani d’epoca o immediatamente successivi agli argomenti trattati, con eccezione de “Il Leone del Deserto”, che invece tratta il fenomeno del colonialismo italiano visto dalla parte di chi lo subì. Tale film prodotto in Libia nel 1981, sarà proiettato per la prima volta in una sala cinematografica, considerato che per tantissimo tempo la sua visione ne è stata censurata.

 
 
 

 

 
     
 

 

 
     
 

 

 
     
 

     
     
     
 

L'intervento del Gen. Div. (aus) Pasquale Martinello

 
 

IL COLONIALISMO

Il colonialismo come fenomeno inizia nella seconda metà del 19° secolo. In quel periodo presero piede e si svilupparono numerose iniziative, in genere di società geografiche, per l’esplorazione del cuore dell’Africa. Negli anni settanta la spinta scientifica ed avventurosa si accentuò al punto da trovare sempre maggiore appoggio da parte politica. Leopoldo II, Re del Belgio, riunì a Bruxelles una conferenza geografica internazionale dal 12 al 19 settembre 1876 con lo scopo dichiarato di sviluppare gli aspetti scientifici ed umanitari. In realtà egli mirava a costituire lo Stato indipendente del Congo sotto controllo belga per sostenere i suoi connazionali esploratori e mercanti che stavano penetrando in quella parte dell’Africa. Al Belgio si opposero la Francia che cominciava a far valere la propria politica coloniale e la Gran Bretagna che appoggiava le pretese portoghesi sulla regione.

Al Congresso di Berlino (26 febbraio 1885) si capì chiaramente che Londra non vedeva con favore il fatto che la Sicilia e la Tunisia fossero nelle stesse mani perché ciò significava avere il controllo del bacino occidentale del Mediterraneo. Inoltre, sempre Londra desiderava colmare il risentimento della Francia per la questione di Cipro (gli Inglesi e gli Ottomani avevano segretamente firmato la conferenza di Costantinopoli, 4 giugno 1878, in base alla quale l’isola di Cipro passava sotto l’amministrazione del Regno Unito. Cipro assurge a importanza strategica dal 1869, anno in cui è inaugurato Suez).

Berlino voleva riavvicinarsi alla Francia e quindi era disposta a favorirla nell’espansione coloniale. Fu trovata una soluzione che non soltanto fosse favorevole alla Francia, ma anche concedesse qualcosa all’Italia. Il Ministro degli esteri inglese offrì Tunisi al Ministro degli esteri francesi e disse a quello italiano Corti che il litorale mediterraneo era abbastanza esteso perché Francia e Italia vi trovassero un compenso. In altri termini suggerì di occupare Tripoli previo accordo con la Francia.

Né Cairoli, né Depretis che si avvicendarono negli anni 1878-81 seppero prendere una posizione che desse seguito al Congresso di Berlino nella rivendicazione di Tunisi oppure nell’accettazione di Tripoli. È il caso di notare che il trattato di commercio e navigazione stipulato tra l’Italia e il bey di Tunisi l’8 settembre 1868, con una durata di 28 anni assicurava all’Italia il privilegio delle capitolazioni (termine che, dopo aver designato qualsiasi trattato, rimase in uso, nel linguaggio diplomatico, per indicare l’insieme dei privilegi che gli stati non appartenenti al concerto europeo accordano agli Europei stabilitisi e trafficanti sul loro territorio) e la clausola di Nazione più favorita in campo commerciale. 

IL COLONIALISMO ITALIANO

L’avventura coloniale italiana è generata dalla necessità di trovare sfogo al grandissimo fenomeno dell’emigrazione, che porta milioni di persone a cercare lavoro sia negli altri paesi europei sia oltreoceano. Già nel 1894 il Primo Ministro Crispi scriveva a Baratieri, Governatore in Eritrea “come tu meglio di ogni altro sai, fra gli scopi della nostra espansione coloniale primeggia quello di preparare un campo adatto e vasto all’emigrazione patria che ora è sfruttata dalle altre nazioni e così ai nostri commerci”.

Vi era, inoltre, uno slancio d’iniziative private: spedizioni geografiche, istituzione di linee di navigazione con Tripoli e Bengasi, impianto di stazioni commerciali a Bengasi e a Derna, incremento della comunità italiana in Libia.

La prima esperienza si sviluppò tra il 1882, quando l’insediamento di Assab fu trasformato in Colonia e il 1896, quando fu firmato il trattato di pace tra l’Italia e l’Abissinia. Il pretesto si presentò nel 1884, Gustavo Bianchi insieme con Cesare Diana e Gherardo Monari tentarono una spedizione con l’intento di trovare una via commerciale che da Assab potesse portare fino all’interno dell’Etiopia. Il tentativo non diede i frutti sperati e nella notte tra il 6 e il 7 ottobre i tre furono uccisi dai Dancali. La notizia della strage provocò grande scalpore. Il Parlamento decise di inviare un corpo di spedizione per individuare i responsabili della strage e punire l’eccidio.

Il 12 gennaio 1885 il Colonnello Saletta, convocato a Roma, ricevette istruzioni dal Ministero della Guerra e da quello degli Esteri. Gli fu appena accennato che non era improbabile che durante il viaggio per Assab l’obiettivo della spedizione potesse essere sostituito con Massaua. Il 1° febbraio 1885 il convoglio toccò Suakin (nel Sudan) e qui l’Ammiraglio Caimi, Comandante della flotta, comunicò a Saletta il cambiamento di destinazione ricevuto telegraficamente da Roma. Il 25 febbraio 1885 la spedizione entrava nel porto di Massaua. La resistenza si concretizzò in una protesta formale. Saletta chiese dei rinforzi, che arrivarono. La seconda spedizione, analoga alla prima (49 Ufficiali e 921 truppa), giunse il 17 febbraio e sbarcò ad Assab, mentre una terza (60 Ufficiali e 1542 truppa) giunse a Massaua il 1° marzo.

Allo scopo di rendere operative le ipotizzate espansioni territoriali furono prese in considerazione molte ipotesi (Suakin-Berber a nord, Massaua-Cheren-Kassala-Khartum più a sud), ma a volte problemi di bilancio interni, a volte ingerenze straniere soprattutto dell’Inghilterra, fecero sfumare le possibilità. Di fatto, dopo mesi di presenza in Africa, l’Italia aveva acquisito qualche piccolo insediamento costiero malsano con l’unico risultato di una forte usura del corpo di spedizione e di spese crescenti. In loco furono costruiti solo ventisei chilometri di ferrovia  a scartamento ridotto Massaua-Saati.

L’inesperienza e la superficialità portarono alla sconfitta di Dogali due anni dopo (26 gennaio 1887), vediamo come. L’occupazione di Saati nel giugno 1885, il successivo invio a Saati nel gennaio 1887 di un paio di compagnie italiane in rinforzo al presidio d’irregolari, nonché la costruzione di piccole casermette in muratura e di embrionali opere di difesa, furono solo il casus belli che condusse a Dogali. In realtà vi fu la protesta dell’ottobre 1886 per la protezione data dall’Italia agli Habab, (insieme di popolazioni pastorali di religione mussulmana insediate nell’estremo angolo nord-occidentale dell’Eritrea a ridosso del Sudan). Vi fu, inoltre, l’intimazione del 10 gennaio 1887 di sgomberare gli appena occupati fortini di Ua-à e di Zula che impedivano le razzie abissine contro gli Habab. Fu sottovalutato anche il pericolo abissino, vi era la convinzione che negus neghesti (re dei re) non fosse in grado di costituire una minaccia e che le truppe europee erano superiori qualitativamente alle bande indigene.

Veniamo all’evento. La colonna De Cristoforis aveva ricevuto l’ordine di giungere entro l’alba a Saati, scortando i rifornimenti che avrebbero dovuto ripianare i consumi del combattimento del giorno precedente. L’ordine non era stato eseguito perché le munizioni arrivarono a Macullo intorno alle 5 del mattino. Pare vi sia stata anche una discussione per il noleggio dei cammelli a Macullo, ma non ne siamo certi. Intorno alle ore 6 De Cristoforis partì pur sapendo della presenza di forze abissine nell’area. L’Ufficiale doveva eseguire l’ordine di soccorrere Saati, anche se forse riponeva eccessiva fiducia nelle mitragliette in dotazione. Certamente si rendeva conto del fatto che non accettando il combattimento avrebbe abbandonare Saati in balia di Ras Alula (il Garibaldi d’Abissinia, governatore dell’Hamasen, regione dell’altopiano etiopico settentrionale centro della colonia Eritrea, di cui costituisce una delle circoscrizioni amministrative, il cui capoluogo è Asmara 2347 s.l.m.). È più possibile che De Cristoforis abbia scelto il rischio minore, anche se sapeva benissimo di non avere in mano un battaglione, ma piuttosto 500 soldati provenienti da diversi reggimenti ed alcuni sbarcati in Africa due giorni prima. Sono riportate numerose congetture sulle reali intenzioni del Ras Alula. Appare più plausibile la versione che vuole che, andata a vuoto l’azione contro Saati, il ras sia rimasto in zona nella notte e, appena avvisato dell’approssimarsi di De Cristoforis, abbia ovviamente voluto approfittare della circostanza favorevole. Dopo quattro ore di combattimenti, la colonna fu praticamente annientata. Settemila abissini lasciarono in vita un solo Ufficiale e ottantasei soldati. Ancora oggi una delle più belle piazze di Roma, Piazza dei Cinquecento è dedicata a questi nostri compatrioti.

L’infelice combattimento di Dogali scosse il Paese, riaccendendo le polemiche che andavano dalla vendetta al ritiro della missione. Il 17 aprile l’intera gestione degli affari d’Africa fu trasferita al Ministero della Guerra.

Il 2 maggio 1889 fu firmato il trattato di Uccialli in due esemplari italiano ed aramaico. Il trattato era volto a regolare i rapporti tra l’Italia e l’Etiopia, oltre che a sancire le acquisizioni territoriali in Eritrea, che il sovrano etiope riconosce come colonia italiana. L’articolo XVII nella versione italiana diceva: “Sua Maestà il Re dei Re di Etiopia consente di servirsi del Governo Italiano di Sua Maestà il Re d’Italia per tutte le trattazioni di affari che avesse con altre Potenze o Governi”. Nella versione amarica, invece di consente figurava la parola potrà. Mentre la prima impone di fatto un protettorato, la seconda conserva la sovranità nelle mani di Menelik. Vi fu anche una disputa sui confini, ma tutto viene risolto con la ratifica della convenzione il 25 febbraio 1890. Con la proclamazione della Colonia Eritrea, il 1° gennaio 1890, a Massaua subentrò l’amministrazione civile.

L’8 giugno 1890 furono inviati in Eritrea il Generale Gandolfi, il Colonnello Baratieri, quale comandante in seconda, e il barone Leopoldo Franchetti, incaricato di dirigere la sperimentazione agricola per convogliare nelle colonie gli emigranti italiani.

Andiamo infine ad Adua. Le truppe italiane, nella loro avanzata verso sud raggiunsero Amba Alagi. Questa espansione territoriale fu percepita dal Negus come un’indebita penetrazione nel suo impero ed offesa al suo prestigio interno. Il Negus il 17 settembre 1895 iniziò la chiamata alle armi per il 25 ottobre (l’appello era per la difesa della terra e delle case, ma prometteva la pena di morte a chi non si fosse presentato) a sud del lago Ascianghi e il 1° dicembre 1895 dette corso all’offensiva etiopica. Sconfitto Toselli ad Amba Alagi (7 dicembre 1895), Menelik proseguì su Maccalè.  Il 7 gennaio 1896 vi fu il primo attacco al forte comandato dal Maggiore Galliano, che venne respinto, ma il forte fu circondato. La situazione si sbloccò con l’offerta di tregua di Menelik. Gli Italiani poterono lasciare il forte con armi e bagagli con la sola condizione di avviare trattative di pace. Il 21 gennaio 1896 l’ultimo italiano uscì dal forte. Dopo l’episodio di Maccalè, Menelik non seguì gli italiani fino ad Adigrat, ma si portò su Adua, minacciandoli sul fianco. La sera del 31 gennaio 1896 Baratieri decise di portarsi nell’Entisciò fronte a ovest per sbarrare la strada per l’Acchelè Guzai. Dopo alcuni movimenti intesi a contrastare le reciproche manovre, i due avversari, ormai di fronte, si fermarono. Gli abissini sostavano a pochi chilometri dalle nostre linee.

Nei primi giorni di febbraio da Roma era giunto un desideratum da sottoporre a Menelik. Le condizioni erano veramente inaccettabili, così Menelik rifiutò sdegnosamente, invitando gli italiani a ripiegare a nord della linea Mareb-Belesa e chiedendo una radicale modifica del trattato di Uccialli. Questo significò l’interruzione dei rapporti che potevano condurre ad una soluzione pacifica del contrasto Italia-Abissinia. La sera del 12 febbraio 1896 giunse la notizia del passaggio al nemico di due capi locali molto influenti nella regione. Baratieri ordinò di portare immediatamente lo schieramento sulle alture di Saurià già occupate dagli avamposti. Nella mattinata del 13 una massa valutata intorno ai 50.000 uomini uscì dagli accampamenti e invase la piana di Ghendapta. I due schieramenti si fronteggiarono fino alle 14, poi improvvisamente gli abissini cominciarono a ritirarsi. Menelik fu dissuaso dai due ultimi arrivati di continuare nello scontro frontale, ritenendo più proficuo operare nelle retrovie. Il 23 febbraio Menelik si ritirò nella conca di Adua.

Le disposizioni impartite da Baratieri prevedevano l’occupazione di un primo obiettivo rappresentato dalla posizione formata dai colli Chidame Meret e Rebbi Arienni tra Monte Semaiata e Monte Esciasciò. Lo schizzo distribuito riportava grossolani errori, primo fra tutti quello che indicava come colle Chidame Meret quello che invece era il colle Erarà, la cui spalla meridionale non era Monte Semaiata, bensì Monte Erarà. Inoltre la zona ad occidente del primo obiettivo risultava compressa rispetto alla realtà. Il vero colle Chidame Meret si trovava a circa 7 chilometri ad ovest del colle Erarà. Anche le disposizioni non erano molto chiare ad esempio si parlava di avanzare e non attaccare. Non tutti i Generali, infine, erano propensi per l’attacco. Partendo dalla considerazione che l’immenso esercito di Menelik non avrebbe potuto sostare a lungo ad Adua per le difficoltà di vettovagliamento, questi reputavano che sarebbe stato meglio sistemarsi su una forte posizione naturale, migliorare i rifornimenti ed aspettare o l’attacco o la ritirata di Menelik. Baratieri preferiva l’intuizione e l’audacia all’esame ponderato dei fattori del problema operativo; forse l’esperienza garibaldina aveva lasciato su Baratieri un’impronta indelebile e fu attacco.

La battaglia del 1° marzo 1896 si svolse in quattro combattimenti separati. Due voluti da Albertone e Dabormida, gli altri due subiti da Arimoldi ed Ellena.  Stabilito uno schieramento sui due colli Erarà e Rebbi Arienni, la fuga in avanti della Brigata Albertone ruppe l’unitarietà del dispositivo, togliendo la spalla sinistra. Fu disposto il sostegno ad essa per mezzo della Brigata Dabormida, ma questa s’infilò nel vallone di Mariam Sciauitù, deviando verso nord, e venne a mancare la spalla destra. Mentre la Brigata Albertone era travolta dopo aspra resistenza ed i suoi inseguitori si abbattevano sulla Brigata Arimoldi e poi su quella Ellena, la Brigata Dabormida s’impegnava per proprio conto in una lotta disperata. Le perdite italiane ammontarono a circa 5.500 morti (anche Dabormida e Arimoldi), 1.500 feriti (anche Ellena) e 2.700 prigionieri (anche Albertone). Da parte abissina se ne stimarono 8-12.000. La Croce Rossa russa curò 7.500 abissini feriti. Quest’ultima sconfitta determinò l’abbandono temporaneo di ogni velleità espansionistica e la fine della carriera politica di Crispi. Baratieri viene sostituito da Baldissera, che riceve carta bianca nel prendere tutte le misure ritenute necessarie per fronteggiare la difficile situazione. Menelik non proseguì le operazioni e il 20 marzo iniziò il ripiegamento verso Scioa pago della grande vittoria e del successo politico.

La prima guerra italo-etiopica si terminò con la firma della pace di Addis Abeba, il 26 ottobre 1896. Il Negus riconosceva la sovranità italiana sull’Eritrea, il Governo Italiano dichiarava la piena indipendenza dell’Etiopia.

 
     
     

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