CALABRIAINARMI

"PER LA PATRIA!"

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I BOMBARDAMENTI ALLEATI SU CATANZARO

 

 

 

 

 

 

 

 

l'intervento del Gen. Pasquale Martinello

Inizio con una curiosità. Il primo bombardamento dall’aria avvenne in Libia ad opera del Sottotenente  Giulio Gavotti a bordo di un Etrich Taube di fabbricazione austriaca. Era in corso da trentatre giorni la guerra italo-turca (29 settembre 1911-18 ottobre 1912), dichiarata dall’Italia per ottenere il possesso della Tripolitania e della Cirenaica. Mantenendosi sui settecento metri di quota e sempre in volo orizzontale, Gavotti portò l’aereo sulla verticale di Ain Zara (qualche kilometro a sud di Tripoli), un abitato  dove si trovavano alcuni alti funzionari del governo imperiale turco. Gavotti trasse dal proprio carniere da caccia una bomba sferica Cipelli dal peso di due kilogrammi, ne strappò con i denti la sicura ad anello, si sporse dalla carlinga e la lasciò cadere. La bomba, poco più grande di un’arancia, esplose a due o trecento metri dal bersaglio. Gavelli proseguì verso oriente e sull’oasi di Tagiura, dove era acquartierato un reparto arabo-turco, sganciò le tre bombe che gli erano rimaste. Fece solo danni ad una palma e a un pozzo, ma aveva introdotto il bombardamento aereo. L’aeroplano nei giorni successivi darà prova di altre straordinarie possibilità d’impiego bellico. Il 24 novembre il Capitano Mizo aveva diretto dall’alto il tiro di una batteria terrestre su Sidi Messari e qualche giorno dopo il Capitano Piazza effettuava  una ricognizione fotografica su concentrazioni e movimenti di truppe.

Torniamo alla seconda guerra mondiale. Essa coinvolse un numero senza precedenti di Paesi e venne combattuta su una molteplicità di teatri terrestri, aerei e marittimi. Oltre ai militari trascinò nel conflitto le popolazioni civili. Massicci bombardamenti colpirono un gran numero di città, molte delle quali vennero rase al suolo, causando stragi immense, provocando inumane sofferenze e cancellando per sempre tanta parte dell’eredità storica.

Nella seconda guerra mondiale erano operativi:

   1. Gli Inglesi con:

·        Bomber Command della Royal Air Force (sgancia in tutta Europa 771.329 t. di bombe esplosive e 199.040 t. bombe incendiarie. Solo l’1% sull’Italia);

·        Coastal Command;

·        Fleet Air Arm;

·        Mediterranean Air Command operante prima dall’Africa Settentrionale e da Malta, in seguito dalle stesse basi italiane delle isole, del sud e perfino del centro.  Si rivolgeva soprattutto ad obiettivi tattici, ma fece alcune eccezioni come Napoli, Palermo, Messina, Catania, Cagliari, Foggia.

  1. 2.    Dopo l'attacco nipponico a Pearl Harbor, gli Americani con:

·        Ottava Forza Aerea Americana della United States Army Air Forces (pressoché identiche proporzioni del Bomber Command) dotati di B17 FLYING FORTRESS e di  B24 LIBERATOR.

Quando l’Italia dichiarò guerra alla Francia e alla Gran Bretagna, il 10 giugno 1940, era pronto da tempo a Londra, il piano W.A. 6 (Western Air 6) che prevedeva il bombardamento aereo sistematico delle installazioni industriali situate sul territorio metropolitano italiano, in particolare al Nord. Per espresso ordine di Churchill il Piano W.A. 6 scattò immediatamente, cosicché già nella notte dell’11-12 giugno 10 bimotori Armstrong Withworth Whitley  sganciarono 40 bombe da 500 libre sull’abitato di Torino, fallendo gli obiettivi prestabiliti. Centrarono gli obiettivi, invece, nella notte tra  l’11 e 12 novembre  a Taranto, 19 biplani Swordfish della Fleet Air Arm della portaerei Illustrious che decapitarono o quasi la nostra flotta. Molto efficaci erano le missioni tattiche effettuate dalla RAF di Malta contro le città, i porti, gli aeroporti e le industrie del Sud.

Il 22 febbraio 1942 il Capo di Stato Maggiore della RAF Sir Charles Portal emanava la seguente direttiva: “in riferimento alle nuove norme sui bombardamenti … sia chiaro che i punti di mira devono essere le aree edificate, non, ad esempio, i bacini portuali o le fabbriche aeronautiche … Questo deve essere  reso evidente se non è stato ancora compreso.”  Era la direttiva che richiedeva il bombardamento aereo globale, senza più riguardo per niente e per nessuno. La decisione era stata presa dai membri del gabinetto di Guerra qualche tempo prima, poiché un’analisi approfondita delle incursioni compiute di notte sulla Germania (rapporto Butt) aveva dimostrato che un solo bombardamento su cinque, in media, era capace di colpire entro un raggio di 5 miglia (m. 8046.71) dall’obiettivo assegnato. Ci si era resi conto, cioè, che la localizzazione degli obiettivi era praticamente impossibile e che colpirli di precisione era comunque utopistico. Nasceva la politica  dell’area bombing (bombardamento a zona), che Sir Arthur Harris Comandante del Bomber Command perseguì alla lettera.

Il terribile metodo dell’area bombing, auspicato anche dal Generale Giulio Douhet oltre vent’anni prima, era stato del resto anche praticato dalla Luftwaffe sull’Inghilterra nel 1940-1941. Furono messe  a ferro e fuoco intere città come Rotterdam 10-12 maggio 1940 e come  Coventry nella notte tra il 14 e 15 novembre 1940. E’ difficile stabilire chi per primo, tra i vari contendenti, abbia fatto ricorso al bombardamento indiscriminato e terroristico; appena furono in grado di farlo, gli inglesi ripagarono i tedeschi con uguale moneta. Basterebbe pensare ai terrificanti bombardamenti di Amburgo del luglio 1943 oppure a quello di Dresda del febbraio 1945, attuati col deliberato proposito di distruggere la città. E’ sintomatica tuttavia una circostanza: né gli inglesi né i tedeschi vennero indotti a cambiare politica o strategia dalle sofferenze inflitte alle popolazioni civili e dalle ferite aperte nel cuore delle loro città. Si continuava con la strategia dell’area bombing.

La tecnica dell’area bombing aveva calcolato che in una città pesantemente bombardata su tutta la sua superficie non solo molti colpi andavano direttamente a segno, sia pure per caso, sugli impianti industriali, le linee ferroviarie, gli edifici amministrativi e altri fabbricati di indubbio interesse strategico, ma accadeva di più. Se le principali fonti di erogazione di energia erano affette dal bombardamento, per un certo tempo la produzione industriale cessava a causa della mancanza dell’acqua, della luce e del gas. Un effetto indiretto era poi provocato dal caos stesso che regnava in una città bombardata. La circolazione difficile, le ore di sonno perdute dai lavoratori, lo shock inferto al morale della gente, la necessità di dirottare molta manodopera in soccorso dei sinistrati, erano altri fattori che contribuivano al tracollo della produzione.

La convinzione secondo cui il sostegno al fascismo stava crollando, si rafforzò nel corso del 1943, con la sconfitta dell’Asse in Africa il 13 maggio, lo sbarco in Sicilia il 10 luglio e sulla penisola il 3 settembre. La forza aerea aveva avuto un ruolo fondamentale nella presa della Sicilia, e si sperava che l’isola, una volta completamente in mano alleata, avrebbe fornito nuove basi da cui attaccare il resto dell’Italia, al fine di esercitare “tanta pressione sugli italiani da far cadere Mussolini e far sì che il partner dell’Asse abbandoni la guerra o addirittura cambi alleanza”.

L’OSS (Office of Strategic Services), creato durante la guerra per fornire intelligence a Roosevelt e ai vertici militari americani, affermò che il bombardamento a tappeto su Torino il 12 luglio 1943 (che provocò 792 morti, più di qualsiasi altro attacco su una città italiana fino ad allora) aveva “creato una situazione critica che le autorità facevano fatica a controllare”; di conseguenza, “un simile trattamento” venne raccomandato per Milano. Un rapporto del 310° gruppo di bombardieri americani, che prese parte agli attacchi su Napoli il 17 luglio e su Roma il 19, sosteneva lo stesso principio, affermando che i bombardamenti avevano provocato nelle città italiane manifestazioni per la pace e attività di sabotaggio. Analogamente, i commentatori anglo-americani descrissero il bombardamento di Roma del 19 luglio 1943 come uno dei motivi della caduta di Mussolini. Nelle sue memorie, Harris sostenne che il panico causato dagli attacchi di Bomber Command sulle città italiane del nord era stato uno dei fattori determinanti nel provocare la caduta del fascismo.

A queste affermazioni la propaganda rispondeva pubblicando manifesti che sottolineavano la recondita finalità di tale tipo di strategia.

Dopo l’8 settembre, quando l’Italia finalmente si arrese, le speranze della popolazione, già una volta distrutte dopo il 25 luglio, crollarono nuovamente: i bombardamenti continuarono sull’Italia occupata dai tedeschi, e, al tempo stesso, si incoraggiavano i civili a svolgere attività di sabotaggio contro gli occupanti. Il morale degli italiani cessò di essere un obiettivo degli anglo-americani dopo l’armistizio e l’occupazione tedesca dal settembre 1943, ma i bombardamenti alleati su obiettivi industriali, ora con il solo scopo di distruggerne le capacità produttive, continuarono. Torino, Milano e le circostanti zone industriali furono bombardate rispettivamente fino a luglio e ottobre 1944.

In Calabria. Dalle prime bombe cadute su Crotone alla fine del 1940 era stato un continuo stillicidio: Reggio, Catanzaro e Crotone spezzonate nell’agosto del 1941; bombe su Crotone e Reggio in settembre; ancora in novembre bombardate Crotone, Cosenza, Soverato, Villa San Giovanni. Tragici i bombardamenti dei centri sulla costa ionica dove gli aerei nemici si affacciavano da Malta senza preavvisi o preallarmi e le popolazioni si davano disordinatamente alla fuga senza una meta precisa per tutta la durata delle incursioni. A Catanzaro Lido, anch’essa colpita a novembre, la gente fuggiva lungo la strada parallela alla spiaggia riparandosi in qualche portone o addossandosi ai muri non appena percepiva il sibilo delle bombe. Nel 1942 incursioni su Reggio il 7 e 8 luglio e su Catanzaro e Villa San Giovanni in ottobre. Nel gennaio 1943 attacchi al traffico ferroviario, specialmente a Cosenza e Roccella. In febbraio bombardate Amantea, Catanzaro, Crotone, Cittanova, Gioia Tauro, Nicastro, con oltre un centinaio di morti. A marzo i bombardieri si accaniscono su nodi ferroviari, industrie, depositi, case coloniche, asili, conventi e persino mulattiere a Catanzaro, Crotone, Amantea e ancora vittime. Il 30 marzo i liberator su Crotone, il 1° aprile i Wellington su Villa San Giovanni e sulle opposte sponde dello Stretto. Rovine e vittime ancora in aprile sulla costa e specialmente su Vibo Valentia. Reggio presa ancora di mira nel maggio 1943 con ingenti danni e molte vittime. Infine il 6 giugno nessun paese prossimo allo stretto rimase indenne.

Siamo così giunti all’estate del 1943 e lascio quindi la parola al Dottor Nando Castagna

 

 

 

 

 

 

 
 

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