CALABRIAINARMI

"PER LA PATRIA!"

 

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TRA STORIA E MEMORIA

 

 

 

 

L’ECCIDIO DELLA DIVISIONE ACQUI

INTRODUZIONE

Per questa breve introduzione parto dalla Conferenza di Casablanca (14-24 gennaio 1943). Nell’ottobre del 1942 iniziava la grande controffensiva inglese contro le posizioni italo tedesche in Africa; in novembre truppe anglo americane sbarcavano in Marocco e in Algeria, chiudendo le truppe italo tedesche tra due fuochi. Le operazioni stavano evolvendo favorevolmente per gli Alleati, che dovevano ora decidere come proseguire nello sviluppo del conflitto. Indicono, quindi, la riunione di Casablanca, nella quale Roosevelt e Churchill, coadiuvati dal Combined Chiefs of Staff, decidono:

·      Agire contro il nemico sino alla sua “resa incondizionata”;

·      Sbarcare in Sicilia, nome in codice operazione Husky. Lo scopo dell’operazione era di “rendere più sicura la linea di comunicazioni attraverso il Mediterraneo; allentare la pressione tedesca sul fronte russo e intensificare la pressione sull’Italia” (Churchill).

Nella successiva riunione operativa di Algeri svoltasi dal 29 maggio al 3 giugno fu raggiunta un’intesa in questi termini: se il superamento della difesa della Sicilia si fosse rivelato troppo gravoso e lento, le operazioni successive avrebbero avuto come obiettivo la Sardegna; se, al contrario, la conquista fosse avvenuta celermente e senza eccessivo logoramento, gli sforzi successivi sarebbero stati incanalati verso l’Italia peninsulare. Il giorno D fu stabilito per il 10 luglio. Conquistate le isole di Pantelleria e di Lampedusa (11-12 giugno), gli anglo americani iniziarono operazioni di sbarco in Sicilia (10 luglio) tra Licata e Augusta.

Hitler, diffidando della “tenuta” dell’Italia, ordinò al suo Stato Maggiore di studiare due piani: l’Alarico per l’eventuale occupazione militare dell’Italia e il Costantino per sostituire all’occorrenza le truppe italiane nei Balcani. Orientò, quindi, alla possibile emergenza italiana il Gen. Rommel. L'incontro fra Mussolini e Hitler a Feltre il 19 luglio 1943 (due settimane dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia) sembrò calmare per qualche giorno le apprensioni tedesche sulla partecipazione dell’Italia alla guerra. Ma la riunione del Gran Consiglio del 25 luglio (che approvò l’ordine del giorno Grandi: 19 si contro 7 no) e la decisione del Re di arrestare Mussolini, convinsero Berlino che la realizzazione del piano Alarico fosse diventata urgente. L’ordine fu dato da Hitler la sera del 26 luglio. Dal Brennero iniziarono ad affluire le prime divisioni tedesche. Alle otto Divisioni già dislocate in Italia se ne aggiungeranno altre nove. Il 15 agosto Rommel fu nominato Comandante delle truppe tedesche in Italia (con sede in Belluno). Il comando delle truppe poste a sud dell’Appennino fu collocato a Frascati, sotto il comando del Generale Kesselring. A Roma, subito dopo la partenza di Mussolini da Villa Savoia, Vittorio Emanuele III convocò Badoglio e lo incaricò di formare un nuovo governo, del quale gli indicò quasi tutti i nomi dei componenti.

Dal 3 al 16 agosto dalla Sicilia con un ordinato movimento retrogrado furono recuperati 62.000 italiani e 40.000 tedeschi. All’alba del 17 agosto terminava l’operazione Lehrgang. La campagna di Sicilia provocò un inasprimento di sentimenti dei tedeschi nei confronti dell’Italia.

Il governo Badoglio dichiarava che avrebbe continuato a combattere a fianco dell’alleato germanico, ma cercava contatti con gli anglo-americani per passare da un campo all’altro. Il 3 settembre il generale Aldo Castellano, a nome del Governo Italiano, firmava l’armistizio a Cassìbile. Esso però non fu subito reso pubblico, in quanto una clausola stabiliva che bisognava attendere il momento più opportuno a giudizio di Eisenhower. Sempre giorno 3, gli anglo canadesi davano inizio all’operazione Baytown agli ordini del Generale Montgomery, mentre il mattino dell’8 settembre, sette divisioni alleate, al comando del Generale Clark, iniziavano operazioni di sbarco a Salerno; contemporaneamente si effettuavano sbarchi alleati a Taranto.

La sera del giorno 8, Badoglio dava per radio l’annuncio dell’armistizio: “il Governo Italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al Generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi provenienza”.

Il Re e il Governo Badoglio, lasciata in tutta fretta la Capitale, si rifugiarono ad Ortona, per salpare di lì alla volta di Brindisi (9 settembre). I comandi militari rimasero senza ordini né direttive per l’esecuzione delle clausole dell’armistizio. L’11 settembre il Generale Kesselring con una sua ordinanza dichiarava territorio di guerra il territorio italiano occupato dalle forze tedesche.

Alla caduta del regime fascista, unità dell’esercito italiano erano dislocate nella Francia meridionale, in Corsica, in Croazia, in Dalmazia, in Albania, in Grecia, nelle isole Jonie e in quelle dell’Egeo. Prive di ogni rifornimento, di ogni comunicazione con la Patria, esse dettero in molti casi un magnifico esempio di resistenza, in alcuni casi anche di eroico sacrificio.

L’isola di Cefalonia fu occupata nella primavera del 1941, quando la sanguinosa campagna di Grecia stava giungendo al suo epilogo. Una compagnia del 2° battaglione paracadutisti venne lanciata sull’isola, che venne occupata senza alcun spargimento di sangue. Con natanti di fortuna i paracadutisti occuparono anche le altre isole di Corfù, Zante e Itaca, consolidando così l’occupazione dell’intero arcipelago jonico.

Nel settembre del 1943 Cefalonia era presidiata dalla divisione di fanteria Acqui di circa 11.000 uomini, comandata dal Generale Antonio Gandin.  Nell’agosto era sbarcato un contingente tedesco di circa 2.000 uomini. L’8 settembre il Comando Superiore italiano in Grecia ordinò al Generale Gandin di resistere ad ogni attacco. All’alba del 13 settembre forze da sbarco tedesche attaccarono e furono respinte. Il 14, interpellati dai loro comandanti di reparto, tutti i soldati decisero di battersi ad oltranza. Dopo una serie di violenti bombardamenti aerei, i tedeschi riuscirono a mettere piede sull’isola sbarcando in più punti tra il 15 e il 17 settembre. Impegnati in duri combattimenti, gli italiani resistettero fino alla sera del 22 settembre quando furono costretti a cedere le armi dopo aver subito 2.000 morti. Cessate le ostilità, i tedeschi iniziarono un metodico massacro. Tra il 22 e il 25 settembre vennero fucilati 4.000 tra ufficiali e soldati, compreso il Generale Gandin e il suo Stato Maggiore; altri 4.000 circa furono deportati prima in Grecia poi in un lager tedesco, molti dei quali morirono; le poche centinaia di scampati riuscirono a raggiungere il continente e si unirono ai partigiani greci.

Il seme della Resistenza sparso dai nostri Reparti dislocati all’estero, cresce anche  sul territorio nazionale. Il 26 settembre 1943 gli Alleati autorizzavano la costituzione di una unità a livello Divisione che sarebbe entrata in linea sull’Appennino, inquadrata nelle forze americane. Nasceva così il I Raggruppamento motorizzato, su base Divisione Legnano, che ebbe il suo battesimo del fuoco a Monte Lungo l’8 dicembre 1943. L’episodio fu marginale dal punto di vista della Campagna d’Italia ma fu la prima occasione per le truppe italiane di essere ammesse a combattere come unità organica accanto alle forze alleate.

Il Corpo Italiano di Liberazione fu un vero e proprio Corpo d’Armata, ordinato su due complessi di forze a livello divisionale. Disponeva infatti della Divisione di Paracadutisti Nembo riportata sul territorio nazionale dalla Sardegna e di una unità, ordinata all’inglese (su due Brigate), nata dalle ceneri del I Raggruppamento Motorizzato. Il Corpo, costituito nel marzo del 1944, condusse l’attività offensiva attraverso l’Italia centrale, liberando tutto l’Abruzzo e le Marche, fino al vittorioso scontro di Filottrano del 9 luglio. Al Corpo Italiano di Liberazione dal 23 luglio 1944 subentrarono i Gruppi di Combattimento. Si iniziò con i Gruppi Cremona e Friuli, ognuno con una forza di 10.000 uomini ordinato su due reggimenti di fanteria e uno di artiglieria. Qualche settimana dopo si formarono altri quattro: Folgore, Piceno, Legnano e Mantova questo ultimo costituito in Calabria. Questi gruppi condussero il ciclo operativo conclusivo della Campagna d’Italia, combattendo sull’Appennino tosco emiliano nell’inverno 44-45 aprendosi la strada per la Pianura Padana attraverso la linea gotica. L’offensiva finale, scatenata nell’aprile del 1945, portò il Gruppo di combattimento Friuli con il Legnano alla liberazione di Bologna (21 aprile). Il gruppo Cremona a sua volta, superata la foce del Po, issava il Tricolore su Venezia il 27 aprile.

La resistenza armata affiancava in questo modo la resistenza civile che si era andata sviluppando dal giorno successivo all’armistizio con i partiti che diedero vita al Comitato di Liberazione Nazionale presieduto a Roma dall’ex presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi. Il 21 aprile Badoglio, trasferitosi a Salerno diede vita ad un nuovo Governo con rappresentanti del CLN. Liberata Roma (4 giugno 1944), Vittorio Emanuele III cedette i poteri al figlio Umberto, nominato luogotenente e il nuovo governo, sotto Bonomi, divenne maggiormente espressione del CLN. Con l’esperienza, l’organizzazione partigiana si era sempre più  perfezionata, dando vita ai Gruppi di azione popolare, alle Brigate Giustizia e Libertà (partito d’azione), Garibaldi (partito comunista) e Matteotti (partito socialista) e raggiungendo un altissimo livello di efficienza. Cito ad esempio l’insurrezione di Firenze dell’11 agosto 1944. Quando le colonne alleate vi entrarono, giorno 22, la città era del tutto libera dall’occupazione nazifascista. Un ruolo decisivo lo svolse il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia, che, presieduto da Ferruccio Parri non cessò mai di combattere Tedeschi e Fascisti. Nel dicembre del 1944 accettò di agire quale delegazione del governo italiano ai fini della lotta nazionale nelle terre occupate e accolse come comandante delle forze militari partigiane l’inviato di Roma, il generale Raffaele Cadorna.

Alla Resistenza civile e a quella armata diedero tutto il loro appoggio le popolazioni civili sia aderendo agli scioperi che furono indetti nei vari centri industriali di Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia sia attuando delle vere e proprie insurrezioni cittadine. Padova, ad esempio, viene liberata dopo violenta lotta definita “modello di cooperazione fra truppe regolari e reparti patriottici, operanti a tergo dello schieramento nemico”. Una sinergia sempre più operativa ed efficiente, che porterà  rapidamente alla  conquista delle città del Veneto e Friuli per fermarsi a  Trieste il 30 aprile del 1945.

In sintesi, i nostri militari della Divisione Acqui a Cefalonia e Corfù hanno contribuito, con il loro eroico sacrificio, a determinare l’origine della Resistenza.  Essa è accresciuta rapidamente, arricchendosi di infiniti altri episodi di patriottismo, ma soprattutto del sentimento di convinta opposizione morale e politica al fascismo e a tutte le altre autoritarie organizzazioni di governo.

Gen. Div. (ris) Pasquale Martinello

 

TRA STORIA E MEMORIA

L'ECCIDIO DELLA DIVISIONE ACQUI A CEFALONIA E CORFU'

RACCANTATA AI RAGAZZI DEL LICEO "P. GALLUPPI"

 

Buongiorno a tutti, Mi chiamo Nicola Coppoletta e sono il rappresentante, in Calabria , dell’Associazione Nazionale della Divisione Acqui. Prima di dare inizio a questo nostro incontro  voglio ringraziare chi ha operato affinchè questa iniziativa andasse a buon fine; alla preside prof.ssa De Filippis, alle insegnanti di storia , in primis alla prof.ssa Perricelli responsabile del dipartimento Storia e Filosofia di questo Liceo. All’Associazione Culturale “Calabria in Armi “ , di cui mi onoro di fare parte, qui rappresentata dal presidente Gen. Pasquale  Martinello e da altri soci; al Comandante della caserma Pepe-Bettoja di Catanzaro, col. Giovanni Rossitto, che ha dato la sua immediata disponibilità ad ospitare la mostra sulla Divisione Acqui, all’interno della caserma, a Francesco Coppoletta, già studente di questo liceo,  presidente dei LEO club Rupe Ventosa di Catanzaro. Un saluto, alle autorità civili e militari, ai gentili ospiti che oggi quì,  ci onorano con la loro presenza . Ma un grazie particolare  va a  voi tutti, alunni e giovani di questo liceo, che con la vostra presenza oggi date memoria e testimonianza ad una pagina di storia del nostro paese spesso considerata scomoda e volutamente dimenticata; Per la prima volta, oggi  in Calabria,  l’eccidio di Cefalonia e Corfù viene commemorato in una scuola: la vostra.

Tante iniziative similari sono state portate avanti in tutta Italia da parte dell’Associazione Nazionale della Divisione Acqui, nelle scuole e nelle Università, dove tanti lavori ed anche tante tesi universitarie sono state presentate su quei tragici avvenimenti.  Continueremo su questa strada, perché riteniamo che il ricordo,  “questo ricordo”, specialmente per le nuove generazioni non deve mai andare perduto; questo è lo scopo principale dell’Associazione. L’associazione Naz.le Divisione Acqui è nata nel 1946 voluta dai cappellani militari, dalle famiglie dei caduti e dai reduci per ricordare quanti a Cefalonia e Corfù hanno lasciato la vita;  è riconosciuta giuridicamente, ed  opera con proprie spese, quindi non ha scopo di lucro.

Oggi siamo qui per ricordare uno dei più grandi eccidi della seconda guerra mondiale ,operato non dalle SS o dalla Gestapo, ma dalla Wehrmacth (esercito regolare tedesco): quello di Cefalonia e Corfù. Per fare questo,  ci siamo serviti  di due audiovisivi e di una mostra, fornita dall’Associazione nazionale Acqui e che sarà esposta da oggi e fino al 28 Aprile, presso il Comando Militare Esercito "Calabria" di Catanzaro (Caserma Pepe-Bettoia) grazie alla disponibilità, come ho già detto, del comandante col. Rossitto, e che oggi inaugureremo insieme a voi. Il primo docufilm che avete appena visto è stato realizzato dall’istituto Storico autonomo della resistenza dei militari italiani all’estero di Arezzo dal titolo “Onora il padre”. Il secondo docufilm che vedrete a breve è intitolato “Italiani di Cefalonia “è stato  prodotto e realizzato dall’Associazione Mediterraneo di Argostoli , con la regia di G. Floris  sulle testimonianze dirette di chi quei fatti li visse in prima persona; parliamo degli  abitanti di Cefalonia.  All’interno del primo docufilm, oltre alla descrizione di quei tragici avvenimenti, avete sicuramente visto   alcune  foto di ufficiali e soldati  calabresi fucilati, o caduti in combattimento, a Cefalonia e Corfù e che abbiamo già onorato il 24/9/2013  in occasione del 70° anniversario di quell’eccidio al MUSMI di Catanzaro. Furono 201 i calabresi uccisi a Cefalonia e Corfù che abbiamo  voluto ricordare: almeno una volta. Cosa dire oltre a quello che avete già visto.

I soldati della Divisione Acqui erano ragazzi giovani intorno ai vent’anni, e si integrarono subito con la popolazione locale, dove c’erano molte ragazze  della loro stessa età, perché i greci più adulti erano al fronte a combattere. Fu così che nacquero, amicizie, simpatie ed amori; pensate che in quei pochi anni furono celebrati oltre 200 matrimoni tra i nostri soldati e le ragazze del posto, spesso contro il volere dei propri genitori. Inoltre molti furono gli atti di generosità e solidarietà  dei nostri soldati nei confronti della popolazione locale: specialmente verso i bambini. L’otto settembre 1943, data dell’armistizio, come già ricordato dal gen. Martinello fu vissuto con tanta euforia, convinti che tutti sarebbero finalmente  tornati a casa, finalmente liberi dalla guerra. Ma purtroppo non fu così. L’isolamento della divisione  e la collera dei tedeschi verso gli italiani considerati traditori,  si trasformò ben presto nella volontà comune di combattere, anche perché si venne a sapere dai partigiani greci che nell’isola di Santa Maura (oggi Lefkada) i tedeschi avevano catturato tutti gli italiani e li avevano mandati nei campi di prigionia. Dopo  il referendum promosso dal Gen. Gandin a tutte le truppe, che decretò la volonta’ della stragrande maggioranza dei soldati di combattere contro i tedeschi,  iniziò la battaglia. Molti di quei ragazzi, nel 1943, erano poco più grandi di voi, ciononostante   in quelle tragiche circostanze, diedero la loro  giovane vita per difendere il giuramento alla propria patria e al proprio onore di soldati, per la propria libertà. Questo, come ebbe a dire qualche anno fa l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, fu il primo atto di resistenza contro i tedeschi. Tanti furono gli atti di eroismo dei nostri soldati, ma la soverchiante forza aerea tedesca, e l’invio di loro nuovi  contingenti  a Cefalonia e Corfù, ebbero  la meglio sulle nostre truppe. Persero così la vita durante i combattimenti che si svolsero dal 15 al 22 settembre 1943, 1250 soldati e 65 ufficiali. Come avete modo di vedere i nostri soldati che si arrendevano venivano fucilati, a gruppi o singolarmente. Ci sono stati interi reparti sterminati, tale che nessun testimone  ha potuto raccontare dei fatti avvenuti,  e quindi alle mogli e ai figli di quelle vittime non è stato riconosciuto neanche  lo stato di orfano di guerra. Si è arrivati anche a questo. Solo a Troianata furono massacrati 600 soldati, ma tante altre furono le località delle stragi. In totale furono circa 5000 i soldati massacrati. Dopo la resa i prigionieri furono ammassati nella caserma Mussolini di Argostoli e lì tenuti senza acqua e cibo sotto un sole cocente, separando i soldati dagli ufficiali. Il gen. Gandin per primo e poi  quasi tutto il suo  stato maggiore furono fucilati; alle fucilazioni del 24 settembre  alla casetta rossa sopravvissero solo 17 ufficiali su oltre 150, tra questi quelli di lingua tedesca che erano altoatesini e che furono risparmiati. Tutti andarono a morire con grande dignità. Quando i tedeschi chiamavano a gruppi di quattro, sei, otto o 12 ufficiali per avviarli alla fucilazione quelli che si presentavano erano sempre di più. Alcuni andarono a morire  cantando la Canzone del Piave.

Abbiamo registrato il caso, su un filmato oggi irreperibile, di un ufficiale calabrese, che pur trovandosi escluso dalle fucilazioni, perché si trovava in mezzo agli ufficiali altoatesini, nonostante le insistenze di questi a dichiararsi tale, volle seguire la sorte dei suoi colleghi italiani, andando così incontro alla morte. I corpi, gettati in fosse naturali nelle rocce dopo qualche giorno, quasi in stato di putrefazione,  furono fatti caricare  su delle zattere dai marinai italiani, e legati con del filo spinato. Le stesse zattere furono poi fatte esplodere in mare  una volta che presero il largo. I marinai furono fatti sparire,  i loro cadaveri vennero ritrovati in una delle fosse da cui avevano trasportato le salme degli ufficiali fucilati, da don Luigi Ghilardini solo dopo un mese. Questi avvenimenti, sono noti grazie alle dichiarazioni fatte allo stesso padre Ghilardini dall’autiere  Alberto Sabbatini, l’unico che si salvò,  che con la sua moto carretta ebbe il compito, su ordine dei tedeschi, di illuminare con i fari del suo automezzo la fossa da dove i marinai prelevavano le salme e le caricavano sugli autocarri per portarli al porto. Operazione questa che durò due notti. Successivamente tre navi carichi di prigionieri, tra i quali L’Ardena  salparono da Cefalonia con destinazione i lager nazisti. Quest’ultima, come le altre si disse che saltò in aria sulle mine, ma probabilmente le imbarcazioni erano già state caricate di esplosivo da parte dei tedeschi. In totale furono circa 3000 i soldati morti per annegamento.

L’Ardena è stata ritrovata e sta in fondo al mare a 200 metri dalla costa di Cefalonia; nelle sue stive ci sono ancora  i resti dei nostri soldati. Su 800 imbarcati, quasi nessuno si salvò. Solo 60 tedeschi tornarono a riva  a bordo di scialuppe dalle quali mitragliarono i pochi italiani che a nuoto cercavano di guadagnare la riva. Alle famiglie, ignare di quanto era successo, solo a guerra finita i cappellani militari comunicarono quanto era accaduto. Come ha raccontato nella commemorazione del 2013 al MUSMI il presidente dell’ANDA Arpaia, padre Romualdo Formato, cappellano  del 33° Regg.to artiglieria andò a casa dei suoi nonni e portò la notizia della morte di suo  zio. a loro consegnò una cassetta contenente un poco di terra della casetta rossa, intrisa di sangue. Per quei genitori fu l’unica e  più sacra reliquia, perché conteneva il sangue del loro figliolo. A distanza di molti anni l’altro cappellano Don Luigi Ghilardini riuscì a recuperare i resti o quello che rimaneva di tanti nostri soldati, che ora riposano al Sacrario Militare   dei Caduti d’Oltremare a Bari.

Solo  circa 1200 superstiti su un totale di circa 11700 uomini che componevano la “Acqui “ riuscirono a tornare a casa dai campi di prigionia, dopo lunghissimi viaggi fatti anche a piedi. Così si è compiuto uno dei più grandi crimini dell’esercito regolare  tedesco, ancora ad oggi rimasto impunito del quale quasi niente si sapeva specialmente dai libri di scuola dagli anni novanta in poi, grazie anche alla scoperta del famoso “armadio della vergogna sulle stragi naziste  operate durante la seconda guerra mondiale, si è avuto modo di riportare  alla ribalta questi tragici avvenimenti, rafforzati da iniziative bibliografiche documentali e da trasposizioni cinematografiche. Ciò ha spinto molti reduci a cominciare a raccontare quanto avevano tragicamente vissuto. Inoltre abbiamo ritenuto importante, con il  secondo docufilm, stigmatizzare  la grande solidarietà e la  fratellanza che unì la popolazione locale  ai nostri soldati. Infatti pur di salvare la vita a tanti italiani, i greci,  pur da noi occupati, misero a repentaglio “la loro vita, quella dei loro familiari  e i loro averi”  nascondendo ed aiutando tanti soldati ed ufficiali,  strappandoli così ad una sicura morte. Alcuni di questi furono messi a morte, come il figlio del prete di Faraklata, Anghelos Konstandakis  che salvò la vita al capitano Pampaloni, nascondendolo in un ovile in montagna, il quale fu impiccato ad un albero della piazza del paese, ed il padre che era appunto il pope  di quella comunità, fu costretto ad assistere alla sua morte e a dargli l’estrema unzione prima che fosse giustiziato. Altri fatti simili si registrarono anche in altre località dell’isola. Alcune testimonianze che vedrete e ascolterete sono veramente sconvolgenti, perché pregnanti di una grande umanità. Ciò a dimostrazione del fatto che la guerra, per quanto tragica essa sia,  non è solo violenza e morte, ma spesso è  fatta di episodi  di solidarietà,  e fratellanza che hanno unito occupati ed occupanti.

Ecco,  questo è quanto  vi volevamo dire, di  questo nostro desiderio  di ricordare i caduti, soprattutto quelli Calabresi. Perché questa giornata rimanga impressa nella vostra memoria. Non abbiamo mai  avuto la presunzione di ricercare analisi, disquisizioni  o  circostanze che causarono quegli avvenimenti, né  abbiamo mai pensato strumentalmente di parlare o “usare”  i fatti di Cefalonia e Corfù associandoli a  rivendicazioni  politiche trasversali   di basso profilo o per interessi di parte o personalistici. Quei ragazzi  avevano solo un  desiderio: quello  di poter tornare alle loro case, alla loro patria, liberi, con l’onore delle armi che non vollero mai cedere: a qualunque costo; I ragazzi della “ACQUI”  furono esportatori e testimoni, seppur in circostanze e con  ruoli diversi di occupanti le isole Jonie,  di solidarietà, di umanità e lasciatemi dire  di   italianità nei confronti dei greci; soprattutto dei  bambini   di Corfù e di Cefalonia. Noi siamo certi che quegli esempi di libertà , di attaccamento alla  propria patria e alla propria famiglia non sono per niente dimenticati, desueti  o sviliti; anzi oggi assumono particolare rilevanza  e significato in un momento dove nuove guerre, nuovi conflitti nuove tragedie interessano ed affliggono il nostro pianeta.

Quei loro  valori  sono oggi di grande ed attuale necessità, che  vogliamo affidare  soprattutto a voi ragazzi che vi apprestate ad affrontare  vita; voi che siete le  nuove generazioni. Quei valori  sono, e devono essere  la nostra e la vostra  protezione contro un futuro fatto spesso di devastazioni. “Noi dobbiamo avere la capacità e il dovere  di infonderli nei vostri cuori”. Come ha dichiarato recentemente la nostra presidente Graziella Bettini: ”è a voi giovani che noi dobbiamo consegnare il profumo della libertà, diventare la voce di chi non ha più voce, perché voi giovani siete il nostro presente e a voi è affidato il grande valore della pace”. Abbiamo voluto farvi conoscere che cosa è la guerra e perché, ci auguriamo, tanti di quegli avvenimenti non si ripetano mai più. Dobbiamo  e dovete meditare  sulle tragedie che portano alla guerra, alla violenza, alle uccisioni (spesso di bambini), come oggi sta avvenendo in Siria. Se non riflettiamo sul passato, o facendo finta di ignorarlo, non conosceremo il nostro presente ma soprattutto non potremmo mai immaginare ed affrontare  il nostro e il vostro futuro. Questo è lo spirito della nostra Associazione, che si batte per queste cose: non per odio o per vendetta ma per ricordare, ricordare  affinchè non si continui a sbagliare.

E infine vorrei chiudere, come ho fatto tre anni fa nella ricorrenza del 70° anniversario della Acqui al MUSMI, con le parole di padre Luigi Ghilardini cappellano della Acqui che tanto si prodigò affinchè i resti ancora dispersi   di tanti poveri soldati tornassero in patria, quando alla fine del suo libro ”I martiri di Cefalonia” scrive:

A tutti questi Eroi va la nostra riconoscenza, e soprattutto “a quei soldati che, trascinati dall’impeto andarono tanto avanti da non più ritornare, a quei marinai che penetrarono così profondamente il mare da non risalirne, a quei cavalieri dell’aria che salirono così alti nel cielo della battaglia da non discenderne più”, a cui mancherà per sempre il conforto di una tomba, il bacio dei loro cari, il riposo nella loro patria, sia vicino il nostro ricordo, il nostro grato affetto e l’onor del pianto, che, come cantava il poeta di Zante,  dovrà durare“ finchè santo e lacrimato sarà il sangue per la patria versato e finchè il sole splenderà sulle sciagure umane.”

                                                                                                                                        Nicola Coppoletta

Catanzaro, Liceo classico “P. Galluppi” 21 Aprile 2017

 

LA COMMEMORAZIONE

 

 

 

 

 

LA MOSTRA

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

LA VISITA DEL  COMANDANTE DEL REPARTO COMANDO E SUPPORTI TATTICI DELLA DIVISIONE "ACQUI" - COL VINCENZO FIORE -

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