Signore e signori, gentili ospiti, autorità tutte buon
pomeriggio e grazie per la vostra presenza a questa
commemorazione.
E
stato durante uno dei miei frequenti viaggi a Roma che,
per caso qualche anno fa in una libreria, attraverso
lacquisto di alcuni saggi sullargomento, ho scoperto
la storia della Divisione Acqui e i fatti conseguenti
leccidio di Corfù e Cefalonia postumi allotto
settembre 1943, giorno dellarmistizio, ad opera
dellesercito tedesco.
Una storia questa che subito mi ha appassionato ma nello
stesso tempo mi ha fortemente indignato, non solo per i
tragici avvenimenti che macchiarono per sempre
lesercito regolare tedesco per le stragi e le violenze
da esso compiuti nei confronti degli italiani ,
calpestando ogni diritto internazionale , ma
soprattutto perché quanto avvenne fu subito dopo ,
volutamente dimenticato ed oserei dire occultato dalla
nostra storia.
La
mia curiosità mi ha spinto a ricercare più e più notizie
su quegli avvenimenti, sia attraverso le varie
pubblicazioni editoriali , sia sul web, sia con la
visione di documentari e altro materiale che mi hanno
indotto per ben due volte a recarmi sullisola di
Cefalonia al fine di visitare quei luoghi così
tristemente famosi.
Inoltre ho preso contatto con lAvvocato Amedeo Arpaia,
qui presente, presidente dellAssociazione Nazionale
Divisione Acqui della sezione Campania-Basilicata,
iscrivendomi alla stessa per avere ancora di più
notizie che potessero soddisfare questa mia sete di
sapere.
Fu
così che, attraverso gli elenchi in possesso
dellAssociazione della Acqui, ho appurato che
tantissimi Calabresi caddero a Corfù e Cefalonia
durante quegli eccidi, distinguendosi per i loro atti di
coraggio, eroismo ed attaccamento alla propria patria .
Tali ricerche, in questi ultimi giorni, hanno
modificato gli stessi dati che qualche settimana fa
esponemmo nella locandina riferita a questa
commemorazione; infatti ad oggi risultano ben 164 (e non
156) i Calabresi caduti durante i combattimenti e
fucilati o massacrati dalla Wehrmatch dallotto al
venticinque settembre 1943, ed altri 37 che perirono in
mare a seguito dellaffondamento delle navi dirette sul
continente, che furono fatte saltare volutamente sulle
mine da parte dei tedeschi, oppure morti di stenti e di
malattie nei lager dove furono internati.
Il
totale è arrivato a 201 di questi nostri corregionali
appartenenti ai vari corpi presenti a Cefalonia e Corfù.
Ciò è evidenziato dagli elenchi che faticosamente
abbiamo messo in piedi e che oggi sono qui esposti.
Tale fu questa scoperta che subito pensai di dare
finalmente una testimonianza ed un ricordo a quei
ragazzi che immolarono la loro vita per tenere fede al
giuramento verso la loro patria.
Lopportunità si presentò quando scoprendo
lappartenenza del collega Vincenzo Santoro ,
allAssociazione Calabria in Armi del presidente
Mario Saccà, esternando a entrambi questa mia
volontà, trovò da parte loro, piena condivisione.
Oggi 24 settembre, a settantanni esatti di
quelleccidio, che ebbe il suo epilogo alla casetta
rossa con la fucilazione di tantissimi ufficiali della
Acqui, anche calabresi, questo mio desiderio, grazie a
queste persone, grazie allAssociazione Nazionale Acqui
nella persona dellAvv. Amedeo Arpaia e grazie
soprattutto a tutti voi trova qui la sua realizzazione
non solo nel ricordo di quei nostri corregionali , ma
soprattutto realizza la partecipazione e la presenza
dei loro familiari e di persone a loro care per
ricordarli almeno una volta.
Tutto questo ci ha impegnato a ricercare, seppur con
grandi difficoltà, notizie e contatti con queste
persone, le quali ci hanno aiutato sia a reperire
notizie sui loro congiunti, sia a fornire il materiale
fotografico degli stessi che potete trovare esposto
allinterno della mostra messa a disposizione
dallAssociazione Nazionale della Acqui dal dott.
Pavignani di Bologna, nella sezione appunto dedicata ai
Calabresi assieme allelenco dei caduti.
E
stato così che ho avuto modo di conoscere personalmente
la figlia e lanziana moglie del capitano Giuseppe
Di Giacomo, che vivono a Roma e che purtroppo oggi
non possono essere qui presenti .
Cosa dire di lui: valente ingegnere di Cassano alla
Jonio, comandante della 361^ batteria costiera del 188°
gruppo artiglieria di corpo darmata di stanza a Spilia
nei pressi di Argostoli;
ne
dà una chiara e precisa testimonianza padre Romualdo
Formato, suo grande amico e cappellano del suo
reggimento, nel suo libro leccidio di Cefalonia
quando parla del suo valore dimostrato durante i
combattimenti contro i tedeschi, portato come esempio
dai suoi superiori che lo ricoprirono di elogi, ma
soprattutto ricordato come colui che non sapeva parlare
senza sorridere.
Fu
fucilato alla casetta rossa la mattina del 24 settembre
1943 assieme ai 136 ufficiali suoi colleghi un mese
prima che nascesse sua figlia Adele, la quale mi ha
pregato comunque di considerarla, insieme alla madre,
presente qui in mezzo a noi anche se non lo sono
fisicamente.
E
del capitano Giuseppe Bagnato di Reggio
Calabria, comandante interinale del 188° Gruppo da
155/14 posizione costiera, di carattere eccezionalmente
forte andò incontro alla fucilazione la mattina del 24
Settembre sempre alla casetta rossa con coraggio e
serenità rammaricandosi, con padre Formato, di non
essere caduto in combattimento.
Assieme a lui la stessa mattina fu fucilato il
sottotenente Ugo Correale Santacroce, nativo di
Siderno che lo volle seguire nella morte così come aveva
fatto nella sua vita di soldato.
Di
questultimo sono riuscito a mettermi in contatto con
i parenti che vivono a Catanzaro; purtroppo così non è
stato per il capitano Bagnato.
Così dire del sottotenente Natalino Gemelli del
317° Fanteria plotone mitraglieri - nativo di
Filadelfia.
Un
ragazzo dal viso dangelo che, nonostante linvito dei
suoi stessi commilitoni a confondersi con gli altri, per
evitare così di essere fucilato, consegnò ai tedeschi la
sciarpa di ufficiale firmando così la sua condanna a
morte alletà di ventitré anni ancora non compiuti.
Lasciò così la sua giovane vita anche lui alla casetta
rossa fucilato insieme ad altri ufficiali calabresi:
Paolino Principato tenente di Melito P.S.,
Antonio Torcia di Petilia Policastro, e Giorgio
Meo di Crotone entrambi sottotenenti.
Il
fratello, lavv. Pierino Gemelli di Catanzaro stasera è
qui con noi.
Il
maggiore Italo Galli di Nicastro aiutante di
campo del 317° reggimento fanteria; uno dei ragazzi del
99; era un ufficiale tutto di un pezzo. Nonostante
ammalato era rientrato in servizio ad agosto del 1943
per dare la possibilità ad un suo capitano di andare in
licenza; non perse mai la calma sia durante i tragici
avvenimenti di quei giorni , sia durante i
combattimenti che si susseguirono dal 15 al 22
settembre 1943; con coraggio e sprezzo del pericolo
combattè al fianco dei suoi fanti e cadde il 21
settembre del 1943 sparando fino allultima pallottola
della sua rivoltella.
Il
tenente Ferdinando Pachì nativo di Caulonia
della 44^ Sezione Sanità di stanza a Valsamata, andò
avanti e indietro come un matto con i suoi barellieri
per tutta lisola di Cefalonia per recuperare e salvare
la vita almeno ai feriti portandoli negli ospedali
da campo.
Rimase vittima, la sera del 21 settembre 1943 della
rappresaglia nazista insieme ad altri sessanta
componenti della sua sezione a Frankata, ma non furono i
soli, perché il dato finale della carneficina fu di
circa cinquecento soldati italiani massacrati.
Il
sottotenente Francesco Quattrone di Reggio
Calabria del 317° fanteria il 18 settembre 1943 si offrì
volontario per ripristinare i collegamenti telefonici
con la sede del comando; nel buio della notte alcuni
suoi soldati incapparono in un plotone tedesco, si
precipitò in loro soccorso, avvenne una violentissima
sparatoria, cadde gridando viva lItalia. Aveva
ventisei anni.
Perse la vita il 22 settembre fucilato nel vallone di
Santa Barbara insieme a tutti i suoi colleghi dello
stato maggiore del 17° fanteria , complessivamente 36
ufficiali, Vincenzo Condemi sottotenente medico
di Stilo ad opera del 54° battaglione cacciatori da
montagna tedesco; dalle testimonianze sappiamo che i
loro corpi vennero bruciati e quanto restò fini in mare
con le piogge di novembre.
Il
tenente Giuseppe Albanese di Mammola, fulgido
esempio di coraggio e sprezzo del pericolo, gioviale e
benvoluto da tutti, partecipò alla conquista della cima
del telegrafo dove furono catturati e fatti prigionieri
circa 450 tedeschi, oggi sede del sacrario della Acqui a
Cefalonia , e poi senza fortuna , con i suoi cannoni da
75/46 alla battaglia di Capo Munta sempre al comando
del maggiore Altavilla .
Perse la vita il 22 settembre presumibilmente fucilato a
Capo Munta insieme a tanti altri militari ad opera
della 13^ compagnia, 3° battaglione del 98° reggimento
cacciatori da montagna tedesco; ciò è testimoniato dalle
dichiarazioni dei coniugi Zapanti di Skala, paese che si
trova vicino a capo Munta, i quali nel 1943 avevano
rispettivamente 12 e 17 anni, i quali hanno indicato
nella relazione darchiviazione di Dortmund un numero
di 150 prigionieri italiani fucilati.
Il
fratello del tenente Albanese e i suoi congiunti sono
anche loro qui con noi.
Giorno ventuno settembre cadde al fianco del suo
comandante, generale Luigi Gherzi, il tenente Silvio
Dattola di Reggio Calabria , insieme al sottotenente
Giovanni Gangemi di Rosarno, entrambi del 17°
fanteria.
Ci
siamo soffermati sugli ufficiali perché i riferimenti e
le notizie bibliografiche ci hanno consentito di
attingere notizie più numerose e documentate da portare
a testimonianza ; altrettanto avremmo potuto e voluto
fare se la stragrande maggioranza di sindaci dei comuni
interessati, a cui abbiamo più volte scritto, ahimè
senza avere risposta, ci avesse fornito notizie e
riferimenti di parenti o familiari di quei ragazzi.
Alcuni li abbiamo comunque rintracciati: il fratello di
Marino Gregorio di Simeri Crichi, la moglie di
Giuseppe Furone di Pizzoni , i parenti di
Vincenzo Tiriolo di Simeri Crichi e di Pungitore
e Grillo di Zambrone, di Cianflone di
Serrastretta e tanti altri che oggi sono qui in mezzo a
noi.
Tutti questi ragazzi quindi non tornarono alle loro
case, né da vivi, né da morti.
Infatti nonostante le reiterate implorazioni dei
cappellani militari agli ufficiali tedeschi, ad essi
fu negata persino una degna sepoltura e una croce sulla
quale pregare così come a tutti gli altri della loro
divisione.
Ma
a distanza di circa settantanni, proprio domani 25
settembre, le spoglie di uno di questi ragazzi
calabresi: il soldato Leonardo La Cava del 188°
gruppo artiglieria di corpo darmata di Aieta
torneranno finalmente a casa.
Arriveranno a Roma, al mausoleo delle fosse Ardeatine
dalla Germania (cimitero di Zweiglager di Fullen) dove
morì di tubercolosi il 18/12/1944 nel lager, e saranno
consegnate ai familiari che le porteranno nel suo comune
di origine;
Ma
credetemi oggi è un giorno speciale perché qui a dare
testimonianza di questa vicenda triste è amara cè
Gaetano Renda, reduce di Cefalonia, il quale, anche se
i suoi occhi non sono più quelli di una volta, vede e
sa con gli occhi della mente e del cuore di quanti
insieme a lui vissero quei tragici avvenimenti.
La
sua testimonianza su Cefalonia, rilasciata al prof.
Saccà qualche mese addietro, la potete trovare sul sito
dellAssociazione Nazionale Acqui e di Calabria in
Armi, sui quali è stata integralmente trascritta.
Oggi noi lo onoriamo quale testimone e rappresentante di
tanti figli della Calabria che insieme a lui vissero
quelle tristi esperienze insieme ad Antonio Franco di
Polistena altro reduce che purtroppo per le sue
precarie condizioni di salute non è qui presente .
Ecco, questo è quanto era dovuto.
Altrettanto bisogna dire che questo desiderio comune di
ricordare i Calabresi della Acqui fin dall'inizio non ha
mai avuto la presunzione di ricercare analisi,
disquisizioni o circostanze che causarono quegli
avvenimenti, né abbiamo mai pensato strumentalmente di
parlare o usare i fatti di Cefalonia e Corfù
associandoli a rivendicazioni politiche trasversali
di basso profilo o per interessi di parte o
personalistici.
Ci
basta solo ricordare; ma contestualmente abbiamo
piena consapevolezza che quegli esempi di tanti nostri
corregionali fatti di lealtà, di onore, di onestà, di
attaccamento ai valori della propria patria e della
propria famiglia non sono per niente dimenticati,
desueti o sviliti; anzi oggi assumono particolare
rilevanza e significato in un momento di grave crisi,
non solo economica, che attraversa gran parte del
mondo, ma soprattutto il nostro paese, e che sono di
grande ed attuale necessità: soprattutto per le nuove
generazioni .
L'evidenza di quegli ideali traspare dai volti e dalle
espressioni di quei giovani calabresi di allora qui
esposti che furono esportatori e testimoni, seppur in
circostanze e con ruoli diversi di occupanti le isole
Jonie, di solidarietà, umanità e lasciatemi dire di
italianità nei confronti dei greci, dei bambini di
Corfù e Cefalonia i quali fecero a gara, specialmente
le donne, durante quelle tristi giornate, a nascondere
e quindi a salvare da sicura morte, tanti soldati e
ufficiali italiani mettendo a rischio la loro stessa
vita.
Questi ragazzi avevano solo un desiderio: quello di
poter tornare alle loro case, alla loro patria con
lonore delle armi che non vollero mai cedere: a
qualunque costo; anche sacrificando la loro stessa vita.
E
infine vorrei chiudere con le parole di padre Luigi
Ghilardini cappellano della Acqui che tanto si prodigò
affinchè i resti ancora dispersi di tanti poveri
soldati tornassero in patria, quando alla fine del suo
libro I martiri di Cefalonia dice :
A tutti questi Eroi va la nostra riconoscenza, e soprattutto a quei
soldati che, trascinati dallimpeto andarono tanto
avanti da non più ritornare, a quei marinai che
penetrarono così profondamente il mare da non risalirne,
a quei cavalieri dellaria che salirono così alti nel
cielo della battaglia da non discenderne più, a cui
mancherà per sempre il conforto di una tomba, il bacio
dei loro cari, il riposo nella loro patria, sia vicino
il nostro ricordo, il nostro grato affetto e lonor del
pianto, che, come cantava il poeta di Zante, dovrà
durare finchè santo e lacrimato sarà il sangue per la
patria versato e finchè il sole splenderà sulle sciagure
umane.
Grazie a tutti |