INGRAZIO IL GENERALE MARTINELLO, PER L'INVITO, PER
AVERMI DATO LA POSSIBILITA' DI RILEGGERE PAGINE DI
STORIA CHE CI APPARTENGONO, CHE VIVONO E VIBRANO
NONOSTANTE IL TEMPO, INESORABILE, LE ALLONTANI DAL
PRESENTE. GRAZIE
Il Generale LO RIGGIO, ci ha portati abilmente, in un
tempo e in uno spazio, un QUANDO e un DOVE.
Siamo nell'ultimo scorcio di un indimenticabile 1700, in
Italia e' un sorgere e un tramontare, infelice, di
repubbliche.
Quella "Napolitana", oltre ad essere infelice, e'
oltremodo cruenta, se pensiamo alle perdite e alla breve
durata, pari al tempo AMOROSO, intercorso tra
l'illusione e la delusione della migliore gioventu', che
aveva guardato, con passione, alla Francia, alla
Costituzione, convinta che lo scopo della societa' fosse
la FELICITA' COMUNE.
IL DOVE, NAPOLI lasciata nell'anarchia dal re Ferdinando
IV per un esilio volontario e vile a Palermo.
E' bene che il re lo sappia, corrono brutti tempi, e se
ne preparano di peggiori, per la monarchia.
In quella Napoli agitata da venti di liberta',
uguaglianza e fratellanza, in quel vuoto politico, si
generano in breve tempo rivoluzione e controrivoluzione
che lasceranno a terra migliaia di giovani vite e che
non miglioreranno le condizioni di chi restera' a
piangere i caduti.
E in quei giorni, il FORTE DI VIGLIENA, teatro di immane
tragedia, diventa uno scrigno di fatti, di nomi e
memoria.
Qui si troveranno calabresi fiancheggiatori del
Cardinale Ruffo sotto il vessillo della monarchia,
contro giovani calabresi illuminati dall'amore, per la
repubblica che avevano issato sui bastioni la bandiera,
con il motto: vincere o morire. Questi ultimi
erano uomini e ragazzi, giovanissimi, istruiti,
intellettuali e militari di carriera appartenenti a
famiglie di rango elevato.
Il generale GUGLIELMO PEPE, descrive il fatto, il
paradosso, con poche acute parole: "fu miseranda
cosa, il vedere Calabresi contro Calabresi gareggiar di
valore in fratricida pugna".
Il superamento dello sbarramento del FORTE DI VIGLIENA
nel tragico modo descritto, rappresenta la capitolazione
della Repubblica.
Chi sopravvive alle battaglie tra il 13 e il 15 di
giugno del 1799, nutrira' per breve tempo la speranza di
avere, almeno, salva la vita.
Il re torna a Napoli con l'aiuto degli Inglesi, sul
trono spolveratogli dal Cardinale Ruffo.
La controrivoluzione di Ferdinando IV sara' spietata, non
terra' conto delle promesse fatte ai repubblicani dal
Cardinale Ruffo, per ottenerne la resa, non terra' conto
dell’anarchia in cui aveva lasciato il suo popolo e
della miseria che lo aveva abbrutito, non terra' conto di
nulla e nulla ordino' che sopravvivesse alla storia di
quei fatti.
I repubblicani del 1799 non solo vennero privati della
vita, ma anche della memoria.
Le condizioni di resa concordate con il cardinale Ruffo
che prevedevano la
non confisca dei beni e l'esilio vengono cancellate.
Tutti i processi dati alle fiamme e con essi i documenti
redatti durante il semestre repubblicano. Per anni le
famiglie dei condannati verranno perseguitate dall’odio
borbonico, con la confisca dei beni ed il divieto di
tenere vivo il ricordo del parente reo di Stato.
Un episodio per capire meglio. MILLECINQUECENTO patrioti
erano pronti ormai per imbarcarsi diretti a TOLONE,
verranno fermati e fatti scendere, l'ordine della regina
MARIACAROLINA:" trattate i napoletani, come sudditi
inglesi in rivolta", per mano dell'Ammiraglio NELSON
sara' un'ecatombe.
Cio' significhera' esecuzioni sommarie.
Le condanne a morte tramite impiccagione, non avranno
sosta da giugno a settembre.
I MONACI DEI BIANCHI, la confraternita che portava
conforto ai condannati e alle
loro famiglie, non aveva nemmeno il tempo di trascrivere
i nomi o lo stato sociale degli sventurati, le liste
arrivavano a raffica.
Non c'era tempo nemmeno per la pieta' ne' per lasciar
detto qualcosa prima di andare a morire.
QUINDICI sono intellettuali calabresi, tra questi i
MONTEPAONESI GREGORIO MATTEI e suo cugino LUIGI ROSSI.
Oggi le strade che in MONTEPAONE lambiscono le loro
case, portano, a buon diritto, il loro nome, corrono
quasi parallele, per poi chiudersi in una sorta di
abbraccio proprio alle spalle di casa Rossi.
I due montepaonesi assommano le caratteristiche
peculiari della bella
gioventù protagonista delle scene, in atto unico, della
tragedia del 1799 alla quale qualcuno titola: IL
SACRIFICIO DIMENTICATO, io preferisco LA GLORIA
NASCOSTA.
Continuando su MATTEI E ROSSI, entrambi di nobili
origini, lasciano il paese natio, piu' e piu' volte per
gli studi che termineranno con quelli di giurisprudenza.
Le frequentazioni e i soggiorni a Napoli danno loro la
possibilita' di radicalizzare e praticare il loro credo
politico.
Furono abili nei sogni, come tutti gli altri
repubblicani, nelle idee, ma quando si passo' di fatto,
ad emanare provvedimenti nuovi, si rivelarono incapaci
di gestire la situazione senza cadere nei torti di
esecuzioni capitali arbitrarie e contradditorie.
Cio' li rese deboli e poco concreti, innescando il
risentimento dell'aristocrazia ferita, e la diffidenza
delle masse, subiranno il fuoco amico e quello nemico.
MATTEI nel governo REPUBBLICANO, rivesti' cariche di
primo piano: GIUDICE DELL'ALTA COMMISSIONE MILITARE e
membro della COMMISSIONE LEGISLATIVA.
Egli, per sua natura, contesto' giovanissimo i pregiudizi
aristocratici, sposando TERESA SCORDA, provocando le ire
della BARONESSA MADRE.
E sara' indirizzata a TERESA SCORDA e ai loro tre figli,
la commovente lettera di addio scritta prima di salire
sul patibolo.
"Cara moglie, a momenti vado a morire e muoio
contento".
Il sacrificio richiama il coraggio, il dolore la
speranza che il sacrificio servira' a qualcosa o meglio a
qualcuno.
Scriveva sul suo giornale IL VEDITORE NAPOLETANO"
ricordiamoci che le infinite nostre divisioni sono
l'origine della nostra debolezza".
I tentativi di fare arrivare alle masse il germe della
rivolta, con la parola furono vani.
Il popolo non si sollevo', ne' capi', mai, perche' giovani
benestanti, con la pancia piena, si sollevassero contro
il re.
Il suo cadavere fu gettato come gli altri in una fossa
comune, perche' cosi' era uso e perche' se ne perdesse il
ricordo.
"Bellissimo nel viso, occhi scintillanti, ampia fronte,
nudo il collo...e in tale atteggiamento, ognuno lo dice
un poeta".
Con queste parole ci giunge la descrizione di LUIGI
ROSSI, poeta, pensatore, con la repubblica nel cuore.
I moti del 99 lo videro tra i piu' accesi sostenitori.
Dopo la sua cattura, tra le accuse che gli saranno mosse
ci sara' quella di "essere stato egli il piacevole
traduttore della Marsigliese".
Compose l'INNO DELLA REPUBBLICA" che sara' musicato da
CIMAROSA, il quale, a sua volta, scontera' con l'esilio
la sua avventatezza.
Alla proclamazione della repubblica fu investito di
cariche di primo piano.
Compose inni e odi contro il re e la sua famiglia, per
certo tempo, ebbe come poeta, l'ammirazione della stessa
regina, la quale tento' anche di strapparlo alla morte.
Rossi le rispose inviandole uno dei suoi più violenti
inni accompagnandolo con l'affermazione che sarebbe
stato poeta anche al cospetto della morte.
Al padre assistente che lo accompagno' al patibolo, che
lo aveva salutato con un viva IDDIO, rispose convinto
dicendo: viva la liberta'! Sali' al patibolo il 28
novembre
1799 in PIAZZA MERCATO insieme a suo cugino e ad altri
corregionali, aveva 30 anni e GREGORIO MATTEI 38.
Ho immaginato per un attimo, di essere in quella piazza,
di aver visto, di aver sentito e poi, sulla strada del
ritorno, sgomenta, raccontarlo a chi non c'era:
Perirono
innumerevoli,
come fiori di campo, strappati alla terra
della loro gioventu',
chinarono il capo verso l'ultimo filo di luce.
Come fiori di campo,
anonimi, ora,
appartengono a tutti
e non sono piu' di nessuno.
E restano li', piantati a monito,
nei sentieri della storia
e i semi sparsi ne generano di nuovi,
nonostante il silenzio e la polvere dei secoli.
"ESSI SONO I MORTI.
LA LORO VERA VITA E' NEL FUTURO E VI PARTECIPERANNO COME
PUGNI DI CENERE E SCHEGGE D'OSSA."
Eleonora Fonseca Pimentel una delle poche donne martiri
ricordate, del 1799, salendo al patibolo disse:
"Forse un giorno ci fara' piacere ricordare anche queste
cose"
e se stasera siamo qui a ricordarle, un motivo ci sara'.
Dott.ssa Rosalba TUCCIO
Soverato (CZ) 21/02/2020 |