CALABRIAINARMI

"PER LA PATRIA!"

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 FORTE DI VIGLIENA

1799: LA REPUBBLICA PARTENOPEA E LA SPEDIZIONE SANFEDISTA

 

 

 

 
 

 

 

 
 

Gen. B. (ris) Nazzareno LO RIGGIO

 
     
 

INGRAZIO IL GENERALE MARTINELLO, PER L'INVITO, PER AVERMI DATO LA POSSIBILITA' DI RILEGGERE PAGINE DI STORIA CHE CI APPARTENGONO, CHE VIVONO E VIBRANO NONOSTANTE IL TEMPO, INESORABILE, LE ALLONTANI DAL PRESENTE. GRAZIE

Il Generale LO RIGGIO, ci ha portati abilmente, in un tempo e in uno spazio, un QUANDO e un DOVE.

Siamo nell'ultimo scorcio di un indimenticabile 1700, in Italia e' un sorgere e un tramontare, infelice, di repubbliche.

Quella "Napolitana", oltre ad essere infelice, e' oltremodo cruenta, se pensiamo alle perdite e alla breve durata, pari al tempo AMOROSO, intercorso tra l'illusione e la delusione della migliore gioventu', che aveva guardato, con passione, alla Francia, alla Costituzione, convinta che lo scopo della societa' fosse la FELICITA' COMUNE.

IL DOVE, NAPOLI lasciata nell'anarchia dal re Ferdinando IV per un esilio volontario e vile a Palermo.

E' bene che il re lo sappia, corrono brutti tempi, e se ne preparano di peggiori, per la monarchia.

In quella Napoli agitata da venti di liberta', uguaglianza e fratellanza, in quel vuoto politico, si generano in breve tempo rivoluzione e controrivoluzione che lasceranno a terra migliaia di giovani vite e che non miglioreranno le condizioni di chi restera' a piangere i caduti.

E in quei giorni, il FORTE DI VIGLIENA, teatro di immane tragedia, diventa uno scrigno di fatti, di nomi e memoria.

Qui si troveranno calabresi fiancheggiatori del Cardinale Ruffo sotto il vessillo della monarchia, contro giovani calabresi illuminati dall'amore, per la repubblica che avevano issato sui bastioni la bandiera, con il motto: vincere o morire. Questi ultimi erano uomini e ragazzi, giovanissimi, istruiti, intellettuali e militari di carriera appartenenti a famiglie di rango elevato.

Il generale GUGLIELMO PEPE, descrive il fatto, il paradosso, con poche acute parole: "fu miseranda cosa, il vedere Calabresi contro Calabresi gareggiar di valore in fratricida pugna".

Il superamento dello sbarramento del FORTE DI VIGLIENA nel tragico modo descritto, rappresenta la capitolazione della Repubblica.

Chi sopravvive alle battaglie tra il 13 e il 15 di giugno del 1799, nutrira' per breve tempo la speranza di avere, almeno, salva la vita.

Il re torna a Napoli con l'aiuto degli Inglesi, sul trono spolveratogli dal Cardinale Ruffo.

La controrivoluzione di Ferdinando IV sara' spietata, non terra' conto delle promesse fatte ai repubblicani dal Cardinale Ruffo, per ottenerne la resa, non terra' conto dell’anarchia in cui aveva lasciato il suo popolo e della miseria che lo aveva abbrutito, non terra' conto di nulla e nulla ordino' che sopravvivesse alla storia di quei fatti.

I repubblicani del 1799 non solo vennero privati della vita, ma anche della memoria.

Le condizioni di resa concordate con il cardinale Ruffo che prevedevano la non confisca dei beni e l'esilio vengono cancellate.

Tutti i processi dati alle fiamme e con essi i documenti redatti durante il semestre repubblicano. Per anni le famiglie dei condannati verranno perseguitate dall’odio borbonico, con la confisca dei beni ed il divieto di tenere vivo il ricordo del parente reo di Stato.

Un episodio per capire meglio. MILLECINQUECENTO patrioti erano pronti ormai per imbarcarsi diretti a TOLONE, verranno fermati e fatti scendere, l'ordine della regina MARIACAROLINA:" trattate i napoletani, come sudditi inglesi in rivolta", per mano dell'Ammiraglio NELSON sara' un'ecatombe.

Cio' significhera' esecuzioni sommarie.

Le condanne a morte tramite impiccagione, non avranno sosta da giugno a settembre.

I MONACI DEI BIANCHI, la confraternita che portava conforto ai condannati e alle

loro famiglie, non aveva nemmeno il tempo di trascrivere i nomi o lo stato sociale degli sventurati, le liste arrivavano a raffica.

Non c'era tempo nemmeno per la pieta' ne' per lasciar detto qualcosa prima di andare a morire.

QUINDICI sono intellettuali calabresi, tra questi i MONTEPAONESI GREGORIO MATTEI e suo cugino LUIGI ROSSI.

Oggi le strade che in MONTEPAONE lambiscono le loro case, portano, a buon diritto, il loro nome, corrono quasi parallele, per poi chiudersi in una sorta di abbraccio proprio alle spalle di casa Rossi.

I due montepaonesi assommano le caratteristiche peculiari della bella

gioventù protagonista delle scene, in atto unico, della tragedia del 1799 alla quale qualcuno titola: IL SACRIFICIO DIMENTICATO, io preferisco LA GLORIA NASCOSTA.

Continuando su MATTEI E ROSSI, entrambi di nobili origini, lasciano il paese natio, piu' e piu' volte per gli studi che termineranno con quelli di giurisprudenza.

Le frequentazioni e i soggiorni a Napoli danno loro la possibilita' di radicalizzare e praticare il loro credo politico.

Furono abili nei sogni, come tutti gli altri repubblicani, nelle idee, ma quando si passo' di fatto, ad emanare provvedimenti nuovi, si rivelarono incapaci di gestire la situazione senza cadere nei torti di esecuzioni capitali arbitrarie e contradditorie.

Cio' li rese deboli e poco concreti, innescando il risentimento dell'aristocrazia ferita, e la diffidenza delle masse, subiranno il fuoco amico e quello nemico.

MATTEI nel governo REPUBBLICANO, rivesti' cariche di primo piano: GIUDICE DELL'ALTA COMMISSIONE MILITARE e membro della COMMISSIONE LEGISLATIVA.

Egli, per sua natura, contesto' giovanissimo i pregiudizi aristocratici, sposando TERESA SCORDA, provocando le ire della BARONESSA MADRE.

E sara' indirizzata a TERESA SCORDA e ai loro tre figli, la commovente lettera di addio scritta prima di salire sul patibolo.

"Cara moglie, a momenti vado a morire e muoio contento".

Il sacrificio richiama il coraggio, il dolore la speranza che il sacrificio servira' a qualcosa o meglio a qualcuno.

Scriveva sul suo giornale IL VEDITORE NAPOLETANO" ricordiamoci che le infinite nostre divisioni sono l'origine della nostra debolezza".

I tentativi di fare arrivare alle masse il germe della rivolta, con la parola furono vani.

Il popolo non si sollevo', ne' capi', mai, perche' giovani benestanti, con la pancia piena, si sollevassero contro il re.

Il suo cadavere fu gettato come gli altri in una fossa comune, perche' cosi' era uso e perche' se ne perdesse il ricordo.

"Bellissimo nel viso, occhi scintillanti, ampia fronte, nudo il collo...e in tale atteggiamento, ognuno lo dice un poeta". Con queste parole ci giunge la descrizione di LUIGI ROSSI, poeta, pensatore, con la repubblica nel cuore.

I moti del 99 lo videro tra i piu' accesi sostenitori. Dopo la sua cattura, tra le accuse che gli saranno mosse ci sara' quella di "essere stato egli il piacevole traduttore della Marsigliese".

Compose l'INNO DELLA REPUBBLICA" che sara' musicato da CIMAROSA, il quale, a sua volta, scontera' con l'esilio la sua avventatezza.

Alla proclamazione della repubblica fu investito di cariche di primo piano.

Compose inni e odi contro il re e la sua famiglia, per certo tempo, ebbe come poeta, l'ammirazione della stessa regina, la quale tento' anche di strapparlo alla morte.

Rossi le rispose inviandole uno dei suoi più violenti inni accompagnandolo con l'affermazione che sarebbe stato poeta anche al cospetto della morte.

Al padre assistente che lo accompagno' al patibolo, che lo aveva salutato con un viva IDDIO, rispose convinto dicendo: viva la liberta'! Sali' al patibolo il 28 novembre

1799 in PIAZZA MERCATO insieme a suo cugino e ad altri corregionali, aveva 30 anni e GREGORIO MATTEI 38.

Ho immaginato per un attimo, di essere in quella piazza, di aver visto, di aver sentito e poi, sulla strada del ritorno, sgomenta, raccontarlo a chi non c'era:

Perirono

innumerevoli,

come fiori di campo, strappati alla terra

della loro gioventu',

chinarono il capo verso l'ultimo filo di luce.

Come fiori di campo,

anonimi, ora,

appartengono a tutti

e non sono piu' di nessuno.

E restano li', piantati a monito,

nei sentieri della storia

e i semi sparsi ne generano di nuovi,

nonostante il silenzio e la polvere dei secoli. 

"ESSI SONO I MORTI.

LA LORO VERA VITA E' NEL FUTURO E VI PARTECIPERANNO COME PUGNI DI CENERE E SCHEGGE D'OSSA." 

Eleonora Fonseca Pimentel una delle poche donne martiri ricordate, del 1799, salendo al patibolo disse:

"Forse un giorno ci fara' piacere ricordare anche queste cose"

e se stasera siamo qui a ricordarle, un motivo ci sara'.

Dott.ssa Rosalba TUCCIO

Soverato (CZ) 21/02/2020

 
     
 

 
 

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