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PRESENTAZIONE LIBRO |
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Venerdì, 01 Aprile 2011 09.20
"Mio padre
Raffaele. Una storia catanzarese": è questo il titolo
del libro, scritto da Nino Loprete e pubblicato da
Ursini Edizioni, presentato questo pomeriggio presso la
Biblioteca comunale "De Nobili" a un'attentissima quanto
gremita platea di curiosi. "Una storia di guerra, di
dedizione alla famiglia e alla Patria, di amore, di
sacrifici, di piccole-grandi soddisfazioni e di
altrettante amarezze, delusioni, paure, il tutto in un
quadro di tenacia e di esperienze forti, mai estranee
alla realtà e alla gioia del dare, di stringere rapporti
di amicizia sincera": l'autore, Nino Loprete, classe
1950 e ultimo di nove fratelli, ha presentato tra la
commozione generale così il suo volume dedicato alla
memoria di suo padre Raffaele, una storia degna di nota
perchè racchiude le caratteristiche peculiari della
storia locale degli ultimi 100 anni.
Il
volume, 93 pagine, ripropone piantine geografiche di
epoca bellica, numerose riproduzioni fotografiche legate
alle azioni delle nostre truppe in trincea e sui campi
di battaglia, ma anche semplici foto di famiglia, che
fanno riaffiorare quel modus vivendi d'inizio secolo
scorso, semplice, umile, tenace, importante da
tramandare. Il protagonista del libro, vissuto il secolo
scorso, infatti, combattè entrambe le guerre mondiali,
ma con altrettanta passione fu padre di una famiglia
numerosa e fu prodigo al lavoro di macellaio che svolse
fino alla fine. Dagli stralci di racconti, vicende e
fotografie, emerge quella Catanzaro in via di fioritura:
quando il commercio era agli esordi, le strade erano
"rughe" e Fondachello era un quartiere in festa, tra i
damaschi variopiniti e le varie gare del sacco e della
pignata, in devozione alla Madonna della Pietà. Quando
arrivò la corrente elettrica e comprare una stufetta era
una festa, quando i giochi erano la mosca cieca, la
tappa, la singa e il battimuro e il campo era la strada.
Novantatré pagine tra ricordi soavi e bellicosi,
medaglie al valore e foto-ricordo dei vari matrimoni,
ripercorsi in un volume offerto gentilmente ai presenti
grazie alla collaborazione economica dell'attuale
amministrazione comunale. Presenti al tavolo dei
relatori, oltre all'autore Nino (Francesco) Loprete,
Mario Saccà (presidente dell'Associazione "Calabria in
armi") e Giuseppe De Gaetano (consigliere comunale).
Dopo i saluti e
l'introduzione della direttrice della Biblioteca Maria
Teresa Stranieri e dell'assessore Antonio Argirò, De
Gaetano si è soffermato "sull'importanza di tramandare i
valori di un tempo", argomento su cui a ha relazionato
anche Saccà, importante supporto storico per la
realizzazione del volume: "la necessità della memoria si
fa sempre più forte per noi che siamo l'ultima
generazione ad aver vissuto l'esperienza di quegli anni
speciali, in cui i giovani vivevano la strada e i valori
erano tutt'altri che quelli attuali". Il volume va ad
aggiungersi all'archivio (immaginario, ma chissà che un
giorno non ne esista davvero una sezione dedicata) di
quelle storie di famiglia calabresi che ci aiutano nella
ricostruzione del patchwork della nostra storia.
Anna
Trapasso |
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dal giornale "Catanzaro Informa"
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La
presentazione di Mario SACCA', Presidente
dell'Associazione "CALABRIA IN ARMI" |
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Il libro di Nino Lo Prete è un cammino
nelle emozioni che hanno origine dal racconto della vita
di suo padre Raffaele, dei familiari e del quartiere di
Fondachello, uno dei quartieri storici di Catanzaro, un
tempo tappa obbligata per chi arrivava in città
percorrendo la strada che congiunge sala con Porta di
Mare. Le sue origini sono lontane e le testimonianze
scarse. Tuttavia nella letteratura cittadina se ne
trovano tracce allorchè si racconta l’assedio di
Catanzaro del 1528: dalla balconata naturale del colle
del Monacaro molti catanzaresi assisterono alla
battaglia contro gli assedianti francesi che si svolse
nel sottostante campo della Sala, all’ incrocio fra i
torrenti Musofalo e Fiumarella.
“Le signore, seguite da un gran numero di
donne e di uomini, curiosi di vedere come faceansi le
battaglie, se n’erano andati nel Monacaro, colle che sta
a cavaliere nel piano dove i deu eserciti si erano
posati; le quali, vedendo un si gran numero di armati
gli uni contro gli altri, prese dallo spavento, si
posero in ginocchio e cominciarono a pregare Iddio per
la vittoria dei nostri soldati”.
La lunga descrizione della battaglia da
parte di Luise Gariano nel suo “Cronica di Catanzaro” si
conclude con l’ accoglimento della preghiera dei
catanzaresi di riportare la vittoria delle proprie armi
togliendo l’ assedio delle truppe francesi. Un’ altra
traccia sul Monacaro si trova nella notizia
giornalistica di uno scavo effettuato sul colle durante
il quale venne alla luce un muro antico sottoposto alla
valutazione del famoso archeologo Paolo Orsi. Non vi è
notizia del parere che venne espresso ma è probabile che
si trattava di murature di una struttura difensiva,
considerando che nei primi decenni del 1500 quel luogo
poteva essere considerato strategico per la visibilità
di ampi spazi lungo la vallata, fino a Santa Maria ed
oltre. Ma non è esclusa neppure l’ esistenza di un
edificio religioso che diede origine al toponimo
Monacaro. Nel libro Nino Lo Prete riferisce dell’
accoglienza dei viaggiatori che passavano per il Fondaco
(poi Fondachello) tramandata dai monaci del convento
utilizzato come lazzaretto per gli ammalati terminali di
colera o vaiolo. Nel corso dei lavori per la costruzione
delle case dell’ IACP venne alla luce un’ampia vasca di
calce, piena di ossa umane. Le notizie finiscono qui ma
danno il senso della storia delle diverse possibili
destinazioni di un luogo attorno al quale crebbe il
piccolo ed operoso borgo che ancora oggi mantiene, in
parte, le antiche caratteristiche di abitato antico,
malgrado la disattenzione che si è avuta verso di esso.
Fondachello era l’anello di congiunzione fra la città e
la campagna del fondo valle, fra le stazioni ferroviarie
e il centro cittadino. Molti viaggiatori che venivano da
Crotone o Nicastro, da Lido o da Borgia percorrevano a
piedi ‘a mpetrata che portava a Porta di Mare
quasi come un pellegrinaggio segnato dalla presenze di
icone o piccole chiese: la Pietà, luogo della maggiore
devozione popolare alla Madonna (già annotato da Luise
Gariano), Il Crocefisso, San Rocco o San Francesco (a
seconda dell’ itinerario), per giungere sulla spianata
dove si trovavano le chiese ed i conventi maggiori. La
varia umanità e le attività artigiane legate alle
esigenze della civiltà contadina completavano il
paesaggio che si offriva ai viaggiatori. Potrei citare a
memoria tanti nomi e le loro immaginbi tipiche. Di esse
una solo ancora è nota ai contemporanei: U Ciaciu, che
aveva bottega, con i fratelli, alla discesa di San Rocco
(‘u penduna de forgi), luoghi della mia prima infanzia.
La mia generazione, anche quella di Nino
per una parte, è l’ultima ad avere visto e vissuto le
esperienze della molteplicità delle persone che in un
senso o nell’altro si recavano alle ferrovie lungo
quella strada. In quegli anni era ancora possibile
ascoltare le grida delle venditrici di pane di castagna
o di altri prodotti agricoli portati dalle donne con il
tipico costume di pacchiana. Noi stessi, poi,
nell’estate andavamo a bagnarci nel mare Jonio
utilizzando il trenino della Calabro Lucana o quello
delle FFSS. All’andata era agevole, ma il rientro
comportava un’arrampicata che il caldo del meriggio non
facilitava. Ma la gioventù e le gambe allenate facevano
superare ogni ostacolo senza problemi. Queste brevi note
su Fondachello sono state necessarie per ambientare
meglio il racconto il racconto dell’autore riguardo alla
identità del borgo ed alle attività svolte del padre e
dei familiari, realizzate in un contesto che per il
consistente passaggio di uomini e merci consentiva di
avere anche una sua valenza commerciale. Nella sua
gioventù precedente gli anni della Grande Guerra
Raffaele Lo Prete visse nel quartiere in maniera non
molto dissimile dalla nostra, le diversità dei suoi anni
penso che possano essere segnate dalla maggiore presenza
di attività agricole o legate all’ allevamento degli
animali, anche in considerazione della fiera che si
svolgeva nello spiazzo della Fiumarella dove ora si
trova il campo di calcio federale.
La sua familiarità con i cavalli, che
Nino racconta essergli stata utile anche durante la sua
permanenza sul fronte isontino è un portato della vita
giovanile e del rapporto con il suo mondo. Raffaele Lo
Prete fu un uomo che costruì la vita con le sue
capacità ed i suoi principi, tenuti fermi per l’ intera
esistenza e trasmessi ai suoi successori. In guerra ed
in pace furono le sue linee guida e resero possibile la
crescita equilibrata e serena di una bella famiglia che
vide i figli realizzarsi avendo come riferimento un
padre assunto come “guida spirituale”. Visse sempre in
quel quartiere che nel contesto di Catanzaro ebbe per
generazioni identità e vita propria costituendosi come
un piccolo popolo all’ interno di quello dell’ intera
città. Fondachello ha dato molto alla città, ai suoi
giovani con le attività sportive di appassionati come
Nino Lo Prete, ma prima di lui del fratello Nicola, dei
fratelli Arabia, di Franco Teti, Cataldino Santoro,
Franco Paparazzo e altri il cui ricordo mi sfugge. La
Gabetto la Kennedy ne furono le compagini più note.
L’identità del borgo non si esaurisce con queste poche
note, necessariamente ristrette, perché, come racconta
l’autore la sua ricchezza umana, la religiosità
popolare, le feste che richiamavano gente dal resto
della città ne fanno un luogo nel quale una comunità
visse per lungo tempo insieme consolidando vita a
tradizioni, avendo relazioni solidali e durature che
dava ai suoi componenti una forte e definibile identità.
I giovani di allora, fra i quali mi inserisco per vita
vissuta, crebbero in quel contesto, con ampi spazi
liberi e di libertà, senza luoghi delimitati da funzioni
progettuali (palestre, scuola calcio, etc.) avendo la
possibilità di vivere senza i pericoli ed i vincoli
della contemporaneità. Siamo stati quelli dell’ ultima
generazione che ha potuto godere del libero territorio,
un pò i ragazzi della Via Paal di Catanzaro.
Anche il ragazzo Raffaele Lo Prete era
cresciuto così nella Catanzaro dei primi del ‘900 e la
sua diverse componenti sociali, non ultima quella
militare che fu sempre una delle tre piu’ importanti del
capoluogo. La costruzione dell’unità d’Italia era appena
iniziata ed anche la nostra città ne aveva potuto
verificare gli effetti. La nascita del Distretto, il
rafforzamento della guarnigione, dell’Ospedale Militare,
ne furono gli effetti più visibili, certamente nelle
occasioni ufficiali sfilate e manifestazioni erano
all’attenzione dei giovani che nell’Esercito
identificavano l’Italia. Anche questo fece parte del
bagaglio di conoscenze del protagonista del libro. Forse
avrà parteggiato per l’ingresso dell’Italia nella Grande
Guerra, ma non lo sappiamo. Quando fu chiamato per
andare alla fronte era già il 26 Febbraio del 1917 ed
oltre un anno e mezzo di combattimenti erano trascorsi.
I primi caduti, i feriti si erano già avuti a
Catanzaro. La città era mobilitata per sostenere i
combattenti, le famiglie, le vedove e gli orfani. Si
raccoglievano fondi , vestiario, derrate alimentari ed
animali per inviarli là dove si scontravano italiani ed
austro-ungarici.
La partenza non sarà stata priva di
emozioni e preoccupazioni ma Nino scrive che Raffaele
giunse alla sua prima destinazione di San Donà di Piave,
pieno di amor patrio e di entusiasmo, pronto a dare il
suo contributo assieme a tutti i giovani italiani come
lui. L’impatto con la guerra moderna, i nuovi mezzi
creati per distruggere vite umane, non fu meno che
devastante. Il racconto si snoda fra i ricordi degli
attacchi, dei cannoneggiamenti e delle mitraglie che
decimavano gli assalitori. La morte era spesso un caso:
dipendeva dalla direzione di una pallottola o di una
scheggia. Solo nel corpo a corpo era certo chi la dava o
la riceveva. Negli altri casi l’uccisore era anonimo,
spesso distante KM. La letteratura sulla Prima Guerra
Mondiale è densa di testimonianze: ne leggo due, tratte
da memorie dei nostri antichi avversari, che sono in
tutto simili a quelle di diversi nostri testimoni.. Nel
corso dell’XI battaglia dell’Isonzo, quella detta della
Bainsizza, Lo Prete venne catturato e portato, assieme
ad altre migliaia di italiani, nel campo di Mauthausen e
la sua vita militare si adeguò alla nuova condizione.
Ancora una volta la conoscenza degli animali gli venne
utile e lo aiutò a migliorare la qualità del soggiorno
forzato in Germania fino al punto di essere di aiuto al
generale ed alla figliola che l’avrebbe voluto per sé.
Ma il legame con l’Italia e la sua città erano troppo
forti e il nostro Raffaele tornò a casa, immagino fra le
feste generali. Malgrado le sofferenze patite in lui
restò forte il sentimento patriottico che emerge con
costanza nella testimonianza di Nino; fu una delle sue
convinzioni più forti e nobili che tenne presenti anche
nella scelta politica di aderire al fascismo e poi alla
destra dopo il 1945. Come tanti nostri concittadini
identificò in quello schieramento il portatore dei
valori nei quali credeva fermamente. Li trasmise alla
famiglia e oggi Nino, che ha al suo attivo la militanza
nello schieramento antifascista, li riconosce come uno
dei fatti fondanti della sua stessa vita che
prescindono dalla collocazione politica ed hanno valore
universale. In un paese ormai libero dai vincoli del
passato riemergono i punti di riferimento patrimonio di
tutti gli italiani che hanno voluto unire il paese nel
corso di oltre due secoli. Non più l’ appartenenza
partitica come scelta principale ma quella del proprio
paese come vollero i protagonisti del nostro
Risorgimento. E bisogna che ripartiamo tutti insieme da
qui, soprattutto i giovani.
Il libro si intrattiene sulla vita fra le
due guerre, il matrimonio, la nascita dei figli, la
seconda guerra mondiale e le sue conseguenze su
Catanzaro. Il secondo dopoguerra e la ricostruzione.
Raffaele è un uomo industrioso che abbraccia la sua vita
con spirito positivo, alimenta l’unità della famiglia
con il lavoro che adatta ai tempi. Per la moglie ed i
figli è un riferimento sicuro che mantiene diritta la
rotta del bene di tutti, esteso agli abitanti del
quartiere ed alle sue attività, alle sue feste. La vita
di ciascun componente della famiglia è vita di tutti ed
i ritratti scritti nel libro ne sono ottima
testimonianza. Il servizio militare svolto da ciascuno
dei maschi della famiglia sembra ripercorrere le orme
del padre che certamente ne fu lieto. Le lacrime versate
al rientro di Nìno dalle zone dove aveva combattuto nel
1917 ne fanno fede ed è questo il momento della sintesi
fra il sentimento di Raffaele ed il suo ritrovamento in
quello del figlio: l’ inizio e la continuità di valori
eterni.
E così che si chiude questa mia
introduzione, certamente incompleta ma lascio all’autore
la parola. |
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PRESENTATO ILVOLUME "MIO PADRE RAFFAELE” dI NINO LOPRETE
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dal Giornale di Calabria
di
Sabato 2 Aprile 2011-04-03
CATANZARO. “Siamo pienamente soddisfatti perché non
credevamo
che tanti cittadini della città potessero essere
interessati a
conoscere la storia di uno dei tanti soldati catanzaresi
che hanno
servito la Patria con onore e grande senso del dovere”.
È ciò che
hanno dichiarato Vincenzo Ursini e Nino Loprete,
rispettivamente
nella qualità di presidente dell’Accademia dei Bronzi e
autore, alla
fine della presentazione del volume “Mio padre Raffaele:
una storia
catanzarese”, pubblicato da Ursini Edizioni, che si è
tenuta nella
Sala della Biblioteca “Filippo de Nobili”, con il
patrocinio
dell’Assessorato comunale alla cultura. L’incontro, dopo
i saluti di
Maria Teresa Stranieri, direttrice della Biblioteca, è
stato coordinato
da Vincenzo Santoro che ha anche dato lettura di un
messaggio
di augurio e condivisione dell’iniziativa inviato
all’autore dal
Comandante Militare dell’Esercito, Colonnello Liborio
Volpe. Sul
volume hanno relazionato il consigliere Giuseppe De
Gaetano,
“coinvolto emotivamente in questa vicenda - ha detto - a
partire
dalla fase di gestazione del testo, avendo condiviso con
l’autore
tantissimi momenti della vita” e il presidente
dell’Associazione
“Calabra in armi”, Mario Saccà che ha ripercorso alcuni
degli
avvenimenti storici più significativi legati al
quartiere
“Fondachello”, luogo di nascita del protagonista del
libro, definito
“anello di congiunzione tra la città e la campagna”. Il
libro è una
storia di dedizione alla Patria e alla famiglia, di
amore, di sacrifici,
di piccole e grandi soddisfazioni e di altrettante
amarezze, delusioni,
paure…in un quadro di tenacia e di esperienze forti, mai
estranee
alla realtà e alla gioia del dare, di stringere rapporti
di amicizia
sincera. |
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