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"24 MAGGIO 2011 - L'INNO DELLA BRIGATA CATANZARO AL MUSMI"    
     
   
     

Esercito, al Musmi si rende omaggio all'inno della Brigata Catanzaro

 

Martedì, 24 Maggio 2011 21.47
''Siamo i fanti rossi e neri, veterani nell'ardire che sui campi della Morte, conoscemmo ogni soffrire'. Così recita la prima strofa dell'inno della Catanzaro la Brigata dell'esercito italiano composta dai molti militari calabresi che valorosamente combattè la Prima Guerra Mondiale. Il Musmi, museo militare che si trova all'interno del Parco delle Biodiversità Mediterranea da oggi onora questi versi che sono incisi su un pannello commemorativo che è stato scoperto dal prefetto Antonio Reppucci e dal presidente dell'associazione Calabria in Armi, Mario Saccà. La breve cerimonia era inserita nell'ambito di una conferenza sulla Grande Guerra programmata significativamente proprio nella giornata in cui si commemorava l'inizio della partecipazione italiana nel conflitto. ''L'inno della Brigata Catanzaro è tornato a casa- ha sottolineato con orgoglio Saccà che con Calabria in Armi si occupa proprio di recuperare documenti storici relativi ai periodi bellici che la nostra regione ha vissuto nel corso della storia. Saccà ha ricordato in particolare un episodio datato 1919 che vide protagonista la Brigata Catanzaro. I militari calabresi allora resero onore a Guglielmo Oberdan, patriota irredentista morto 30 anni prima, a cui, nel corso di una celebrazione in cui fu eseguito anche l'inno, fu intitolata una caserma di Trieste. Saccà ha quindi brevemente ripercorso la storia di quelle note e di quelle parole scritte ad inizio secolo su un semplice foglio di carta velina. Proprio il manoscritto originale dell'inno, grazie all'intervento di ''Calabria in armi', sarà donato al Musmi dalla famiglia triestina che fino a oggi l'ha custodito. Ma nel corso dell'incontro di questo pomeriggio è stata fatta una ricostruzione storica ampia di molti altri aspetti del conflitto. Il generale Luigi Martinello ha illustrato a una platea di militari, studiosi e semplici curiosi le caratteristiche storico militare della Prima Guerra Mondiale mentre il dottor Vincenzo Santoro e il professor Antonio Gioia si sono soffermati rispettivamente sul contributo dei calabresi nell'evento bellico e sull'argomento ''Futuro della memoria: ricerca storica e politiche culturali".

dal quotidiano "Catanzaro Informa" del 24.05.2011

     

 

   
     

   
     
   
     
   
     
   
       
   
     

     
     

     
   
 

L'intervento di Enzo SANTORO

COMBATTENTI E CADUTI, IL CONTRIBUTO DEI CALABRESI NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


Nel celebrare i fasti della Brigata Catanzaro, si rende necessario fare menzione del contributo di sangue dato dalle genti meridionali durante la Prima guerra mondiale. Conflitto in cui la “Catanzaro” rivestì un ruolo da protagonista con notevole sacrificio e dispendio di sangue dei propri uomini.

C’è da dire che nelle numerose commemorazioni inerenti il 150° anniversario dell’Unità d’Italia si discute se il Risorgimento sia stato prevalentemente un movimento d’elite, formato in linea di massima da studenti ed intellettuali appartenenti alle regioni settentrionali, col grosso del popolo in veste di spettatore, e se le popolazioni del sud parteciparono attivamente a tale evento o lo subirono come un’annessione. Certamente per avere una situazione significativa bisognerà aspettare la Terza guerra d’Indipendenza che vide per la prima volta il nuovo esercito italiano combattere per gli ideali e gli interessi della Nazione unita; un esercito formato da cittadini residenti nelle varie regioni d’Italia unificate sotto casa Savoia. Ma per avere un riferimento molto più preciso bisognerà per l’appunto analizzare le vicende legate alla Prima Guerra Mondiale, non fosse altro perché tale conflitto ha determinato il compimento del disegno risorgimentale italiano, e proprio per questo motivo è stato anche definito come la Quarta guerra d’Indipendenza.

Però la guerra 1915-1918 ha rappresentato una carneficina senza precedenti, visto che un’intera generazione di italiani ne ha subito le tragiche conseguenze. Seicentocinquantamila morti, milioni tra feriti, mutilati e invalidi sono stati un prezzo di sangue e di sacrificio elevatissimo e le conseguenze, anche in termini demografici, economici e sociali, si sono risentite nei decenni successivi.

Tale conflitto per la prima volta ha visto, in Italia, una mobilitazione di massa che ha coinvolto milioni di persone appartenenti alle diverse regioni attuando, nei fatti, la vera unificazione degli italiani che, come da più parti sostenuto, è avvenuta all’interno delle trincee, ove si sono trovati a combattere e morire - assieme e sotto la stessa bandiera - italiani, appartenenti alle varie regioni, differenti per cultura, censo, usanze, dialetti, ma uniti da una stessa uniforme ed identica Patria.

Il contributo in termini di mobilitazione e di sangue, espresso in percentuale da parte delle regioni meridionali, non è stato inferiore a quello delle regioni del nord Italia. Regioni, soprattutto quelle della zona orientale, nelle quali si è combattuto ed ove, per ragioni politiche e storico-geografiche, erano molto più chiari gli scopi e gli obiettivi della stessa guerra. Non c’è stata grande città o piccola borgata che non abbia visto propri concittadini indossare un’uniforme grigioverde, e non c’è stata famiglia in quegli anni che non sia stata direttamente, o in modo indiretto, coinvolta da tali tragici eventi.

Le regioni meridionali sono state determinanti nel compimento dell’Unità nazionale ma tale contributo risulta poco noto e divulgato, visto che a guerra finita, nell’esaltazione della vittoria, è stata posta grande attenzione al totale dei caduti in valore assoluto, nonché all’ irredentismo, volontarismo e nazionalismo, fenomeni questi maggiormente espressi dalle regioni settentrionali. Oltretutto, da una parte della storiografia e della statistica militare, è stato evidenziato il fenomeno della renitenza alla leva e della diserzione come caratteristiche tipiche delle genti meridionali, a dimostrare come questa guerra fu poco sentita od osteggiata dai soldati del sud, omettendo invece inspiegabilmente ogni approfondimento sul numero dei caduti (ed in primis in confronto ai soldati mobilitati). Tali studi, infatti, riportano genericamente i dati relativi alla diserzione, alla codardia, alla renitenza, trascurando ogni riferimento al contributo di sangue da parte dei soldati meridionali.

In realtà la renitenza non fu riconducibile solo alla grande mobilitazione messa in atto durante il primo conflitto mondiale, ma tale fenomeno era presente anche nei decenni precedenti, ad iniziare proprio dagli anni immediatamente successivi alla stessa unità d’Italia.

Sicuramente nella renitenza da parte delle regioni del sud, influirono più che un antimilitarismo e avversione alla guerra, anche fenomeni di emigrazione e sottosviluppo socioeconomico; nei fatti tale reato militare non riguardò solo la Sicilia o le grandi città meridionali, ma interessò anche città e regioni del nord Italia ed analogamente la diserzione che, viceversa, era maggiormente praticata dai soldati provenienti dalle regioni più vicine alla linea del fuoco che approfittavano di ogni occasione per andare a trovare i propri cari, in violazione agli ordini ed alle consegne ricevute; cosa che fu maggiormente attuata durante la ritirata di Caporetto.

I dati da analizzare non sono sempre chiari e completi, a distanza di oltre 90 anni dalla conclusione degli avvenimenti. Anche l’elenco delle regioni tiene conto della loro ripartizione all’epoca dei fatti, per cui nel Piemonte è ricompresa la Valle d’Aosta; nel Veneto il Trentino ed il Friuli; il Molise rientra nell’Abruzzo.

Già a guerra finita sono iniziati i primi studi statistici sullo sforzo militare, uniti alla pubblicazione dell’Albo d’Oro, comprendente l’elencazione dei caduti in guerra, ma in un caso e nell’altro i dati risultano incompleti e non definitivi.

Il dato più certo riguarda la mobilitazione, nei 41 mesi cui durò la guerra, che ha interessato i nati, compresi nelle classi 1876-1900, per un totale di oltre 5 milioni di uomini (di cui 4.200.000 formarono l’esercito operante in zona di guerra ed i rimanenti furono utilizzati in territorio nazionale nella milizia territoriale), nella maggior parte dei casi appartenenti alle regioni settentrionali; infatti il 48,7% dei chiamati alle armi appartenevano all’Italia settentrionale; al centro il 23,2%; al sud il 17,4% ed alle isole il 10,7% .

In percentuale, la regione col maggior numero di mobilitati, risulta la Lombardia (15,24%) e la minore la Basilicata (0,69%); la Sicilia è la regione meridionale col maggior numero di mobilitati (8,72%). Però se si raffronta tale dato con il numero dei maschi in età di chiamata alle armi (censimento del 1911 ), emerge che, a fronte di una media italiana del 74%, alcune regioni del Sud come Calabria ed Abruzzo sono state molto generose, rispettivamente col 78% e 94%, nel rapporto mobilitati effettivi su mobilitati potenziali, e quindi con meno dispensati o esentati; mentre la Liguria ha una percentuale solo del 44%, a causa dei numerosi esoneri concessi agli operai delle industrie ed agli equipaggi facenti parte della marina mercantile. Altro dato significativo è che la stragrande maggioranza dei soldati arruolati erano contadini, in confronto agli operai ed alle classi agiate e borghesi.

Per quanto riguarda i caduti complessivi, la cifra più vicina alla realtà è pari a 650.000 morti, che in modo impressionante ci conferma che il 13% dei mobilitati non è ritornato vivo dalla guerra. E tale percentuale è ancora più elevata se si escludono gli oltre 800.000 militari appartenenti alla milizia territoriale, a chi quindi prestava servizio non in zona di guerra.

Il totale dei caduti si riferisce all’incirca a 500.000 morti in combattimento, 50.000 a seguito di malattie e ferite contratte in guerra e 100.000 morti in prigionia. Quest’ultimo dato è significativo, perché per tantissimo tempo è rimasto ignorato e poco approfondito, rappresentando un vulnus nella storiografia della Grande guerra.

I dati scaturenti dagli elenchi regionali dell’Albo d’Oro (pubblicati subito dopo il termine del conflitto), riportano invece un totale di circa 530.000 caduti e, utilizzando questi numeri, rapportando i caduti sul totale mobilitati, suddivisi per regione, emerge che, a fronte della media nazionale del 10,50% di soldati morti sui mobilitati: Basilicata, Sardegna e Calabria (quest’ultima regione con ventimila morti) sono state le regioni col maggior numero di morti in guerra in termini percentuali ed in rapporto alle truppe mobilitate (rispettivamente col 21,06%, 13,85% e 11,31%).

Analogo discorso per i 30770 mutilati (utilizzando i dati a cura della sanità militare) ove emerge che la Basilicata, in percentuale ed in rapporto ai mobilitati, è la regione col numero più alto, e le altre regioni meridionali presentano valori superiori alla media nazionale.

Un’ultima analisi è rappresentata dalla concessione delle Medaglie d’Oro al Valor Militare, ove col totale Italia di 351 medaglie individuali (di cui un 80% conferite alla memoria), pari allo 0,007% sul totale uomini mobilitati, la regione più decorata, con la massima onorificenza, è la Sardegna, con un percentuale del 0,014%, seguita dalla Liguria (0,011). La Calabria, con 14 Medaglie d’Oro, ha una percentuale superiore alla media nazionale, pari a 0,008%. In questo caso deve pesare nel giudizio anche la constatazione che l’apposita commissione che valutava le proposte di concessione delle decorazioni, costituita in seno al Ministero della Guerra, era molto più favorevole a concedere le medaglie a militari (soprattutto ufficiali e graduati) delle regioni irredente.

Ma in quali reparti combatterono i soldati calabresi?

Con una mobilitazione di massa senza precedenti, l’Arma col maggior numero di componenti fu la Fanteria che, in virtù dei compiti ad essa riservati e per il tipo di guerra combattuta, caratterizzata da lunghi periodi in trincea ed assalti cruentissimi alla baionetta contro le postazioni nemiche, fu quella più sfruttata e che pagò il prezzo più alto in termini di vite umane. L’80% del totale caduti in combattimento durante la Grande Guerra, furono proprio fanti, seguiti da bersaglieri, alpini e granatieri (sempre specialità della fanteria).

Il sistema di reclutamento, ante guerra, prevedeva, affianco il cosiddetto esercito permanente, basato su 48 brigate di fanteria, la creazione di unità di milizia mobile, da costituirsi in caso di mobilitazione.
Nel 1915, esattamente 96 anni fa, furono pertanto create 25 nuove brigate, e la brigata Catanzaro fu una di queste, che diventarono 40 nel 1918. Ogni brigata era formata da due reggimenti di 3000 uomini ciascuno; i reggimenti che formavano la Catanzaro erano numerati con il 141° ed il 142°.
Il reclutamento avveniva attraverso i centri di mobilitazione, formati dai distretti militari e dai depositi di leva che, quanto meno nei primi anni di guerra, alimentavano gli stessi reggimenti, tant’è che inizialmente la Catanzaro ebbe un reclutamento d’impronta regionale mentre negli anni successivi fu formata da soldati appartenenti ad altre regioni, quasi esclusivamente meridionali.

In Calabria erano presenti alcuni reparti di esercito permanente e più precisamente il 19° reggimento fanteria “Brescia” a Cosenza, il 20° “Brescia” a Reggio (col comando di brigata a Catanzaro che era anche sede in tempo di pace della 22 divisione territoriale) ed il 48° “Ferrara” a Catanzaro. Da questi reparti si formarono quindi nuove unità di milizia mobile che operarono in prima linea: dal deposito di Catanzaro si formarono il 141° fanteria “Catanzaro”, il 96° reggimento “Udine” ed il 221° “Jonio”; dal deposito di Cosenza il 142° “Catanzaro” e 243° “Cosenza”; dal deposito di Reggio il 246° reggimento “Siracusa”.

Lo stesso criterio valeva per la creazione dei reparti di milizia territoriale (con compiti di presidio in zone non di guerra) e per le compagnie di mitraglieri inserite in organico nei reggimenti di fanteria. Naturalmente le esigenze belliche ed operative fecero si che, col passare del tempo, tali criteri di mobilitazione furono meno rigidi, per cui nel corso del conflitto, anche per colmare i vuoti di organico, si poteva essere spostati da un reggimento all’altro, anche differente in confronto al reclutamento iniziale, e le varie ricerche su questo aspetto hanno evidenziato che la presenza dei calabresi fu spalmata in innumerevoli reparti, non solo quelli di naturale destinazione. Emblematico è il caso del 219° Reggimento di Fanteria “Sele” che, pur avendo come centro di mobilitazione la città di Salerno, vide combattere nelle sue fila tanti calabresi. Risultano infatti deceduti, nel corso dei combattimenti cui il reparto fu interessato, ben 13 soldati nati a Catanzaro. Nello stesso tempo furono tantissimi i calabresi che combatterono in altre Armi, come l’Artiglieria e Cavalleria, che per la natura dei compiti a loro assegnati, avevano un differente sistema di reclutamento in confronto alla Fanteria.

Quarantadue catanzaresi morti in guerra appartenevano al 48° rgt Ferrara (l’intera brigata ha avuto oltre 2800 caduti), quello più legato alla città di Catanzaro perché presente in città prima della guerra; 12 i caduti appartenenti al 141° Catanzaro (furono 2220 i caduti complessivi della brigata) e 6 del 19° rgt Brescia (oltre 3000 i caduti dell’intera brigata). Più nello specifico la brigata Catanzaro ha avuto per l’appunto 2220 caduti ed oltre 12000 feriti; 36.000 furono gli uomini che dal 1915 al 1918 indossarono l’uniforme con le mostrine rosse e nere identificative della Catanzaro.Di essi, 360 militari di vario grado ricevettero decorazioni al valor militare; 3 furono decorati con medaglia d’oro (Alberti, Cassoli, De Vecchi). La bandiera del 141° rgt fu decorata di medaglia d’oro e furono solo 9 rgt su oltre 250 ad avere la massima onorificenza nel corso delle operazioni belliche.

Oltre ad essere tra le più sacrificate in rapporto al personale mobilitato, un'altra caratteristica di questo reparto fu che complessivamente operò in prima linea, durante tutto il conflitto, per oltre il 60% delle giornate, mentre il rimanente periodo agì in retrovia o a riposo, in controtendenza rispetto agli altri reparti ai quali spettarono più giorni di riposo che di combattimento, a dimostrazione dell’utilizzo costante che i comandi fecero di questa brigata ritenuta estremamente valorosa e combattiva e definita per questo motivo la “brigata di ferro” dal comando supremo. La sua combattività era riconosciuta anche dagli avversari. Però tale reparto fu sottoposto per ben due volte alla terribile pena della decimazione e cioè la repressione dei reati collettivi attraverso la fucilazione sommaria, come monito, di 1 soldato scelto a caso tramite conta, ogni 10 appartenenti ad un reparto colpevole di un grave reato militare come lo sbandamento e la rivolta. Per questi reati i fanti della Catanzaro subirono l’onta di tale pena, rispettivamente nel maggio 1916 sul monte Mosciagh e nel luglio 1917 a Santa Maria la Longa; ma tali episodi non intaccarono il valore e l’alone di leggenda che sempre ammantò la brigata fino al termine del conflitto.

La Brigata fu sciolta nel 1920 per essere ricostituita durante la seconda G.M. col nome di 64 divisione Catanzaro, annientata nel 1941 dagli inglesi in Africa Settentrionale. Nel 1975 fu ricostituito il 141° battaglione fanteria “Catanzaro” di stanza in Sicilia ove operò fino agli anni 90 quando venne definitivamente sciolto .Quindi ad oggi non c’è alcun reparto operativo che porti il nome della Catanzaro. Rimane però un ricordo indelebile sulle vicende che si estrinseca attraverso libri, ricerche, tesi di laurea, fumetti storici, rappresentazioni teatrali e momenti di ricordo come questo che oggi stiamo celebrando.

Elevatissimo quindi è stato il contributo di sangue e di valore espresso dalla Calabria e dalle altre regioni del Sud nella causa dell’Unità nazionale e pertanto, in questo periodo di celebrazioni e commemorazioni, si rende necessario ricordare tali uomini che pur essendo in linea di massima contro la guerra e privi di un sentimento di avversione verso il nemico, erano e si sentivano italiani, facendo nella stragrande maggioranza dei casi il proprio dovere in virtù di un arcaico sentimento dell’onore e rispetto.

Tantissimi di loro immolarono la vita per la causa dell’unità nazionale; valore questo che oggi qualcuno tende a ridimensionare e rivedere, ma che invece deve rappresentare un elemento di coesione da difendere e perpetuare, anche per onorare la memoria di chi ha dato la vita perché ciò potesse realizzarsi e per evitare che tale enorme sacrificio sia stato vano.

Concludo citando le parole scritte su un documento conservato presso il Museo storico di Trieste, città simbolo della Grande Guerra, e riferite al sacrificio dei fanti della Catanzaro, ma simbolicamente estese a tutti i soldati calabresi:

“ Italiani li ricordate i rossi e i neri della Catanzaro? 141° e 142°, i numeri sacri della Calabria eroica!
Dalle spiagge assolate del Mar Jonio, dai villaggi sperduti tra la Sila e l’Aspromonte, dalle città risorte sulle rovine dei terremoti, questi figli della terra che per prima ebbe il nome Italia, accorsero al fronte cantando nei lunghi treni infiorati ed imbandierati. Ma ogni conquista fu battezzata nel loro sangue, ogni cimitero fu popolato dai loro morti e noi tutti con deferenza Vi ammiriamo, o eroi della Catanzaro”.
 

Il Quotidiano della Calabria – Catanzaro 18 giugno 2011

 Al Museo storico militare, l’iniziativa dell’Associazione “Calabria in Armi”

Protagonista la storia d’Italia

 di ANTONIO P. DI TOCCO

Un’Italia finalmente unita è apparsa il 24 maggio  1915 riecheggiando nel ricordo di oltre cinque milioni di soldati  mobilitati per la Grande Guerra e dei 650 mila caduti sul fronte italiano.

Una storica ricorrenza, che celebra l'entrata in guerra dell'Italia, che non può passare inosservata agli italiani in memoria dei Caduti e dei decorati al valor militare.

Una storica data, oggi conglobata nelle celebrazioni della giornata del 4 novembre, per esaltare i valori spirituali delle nostre Forze armate.

E presso il Musmi – Museo storico militare “Brigata Catanzaro” ubicato all'interno del “Parco della Biodiversità Mediterranea” la storia della nostra Patria è stata ancora assoluta protagonista, con le sale ricolme di cimeli, documenti, vessilli, dettagliate ricostruzioni dei campi di battaglia e di sofferenza.

L'occasione per risaldare i vincoli di Unità, stretti nelle trincee con il sangue e il sacrificio di soldati provenienti da ogni regione,è stata offerta dall'Associazione “Calabria in Armi” che ha curato la scopertura di un pannello commemorativo dedicato all'Inno della Brigata Catanzaro “cantato a Trieste - ha dichiarato il presidente Mario Saccà - dai suoi soldati il 16 novembre 1919 in occasione della posa del bassorilievo presso la Caserma in memoria dell'irredentista martire triestino Guglielmo Oberdan”. Patrocinata dall'Amministrazione Provinciale di Catanzaro, la manifestazione è voluta essere un doveroso omaggio ai valorosi fanti del 141°- Marina e 142°- Monteleone Reggimento.

La “Brigata Catanzaro” costituita da 6 mila unità, sempre in prima linea, fu protagonista di varie azioni belliche sul fronte del Carso ottenendo, il 141°, una Medaglia d'Oro al Valor Militare e, il 142°, una d'Argento al valor militare.

Arditi uomini dalle mostrine rosso-nere, partiti alla conquista di una propria libertà, che non risparmiarono eroiche gesta, fino all'estremo sacrificio, per la libertà di un popolo. E anche dei 300 sopravvissuti dopo tre mesi di combattimenti, rimane traccia al Musmi con la pagina di copertina del supplemento numero 24 datato 11.18 giugno 1916 de “La Domenica del Corriere” illustrato da Beltrame per la cronaca allorquando “un brillante contrattacco dei valorosi Calabresi del 141° fanteria libera due batterie rimaste circondate sul monte Mosciagh”.

A completare il quadro storico, tra strategie, innovazioni tecnologie e blocchi delle politiche militari attuate durante la Prima Guerra Mondiale il generale Pasquale Martinello a cui sono seguite le relazioni del socio Vincenzo Santoro sul contributo dei calabresi durante la Grande Guerra e del professor Antonio Gioia sul futuro della memoria.

 
 

 

 

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