COMBATTENTI E CADUTI,
IL CONTRIBUTO DEI CALABRESI NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
Nel celebrare i fasti della Brigata Catanzaro, si rende
necessario fare menzione del contributo di sangue dato dalle
genti meridionali durante la Prima guerra mondiale. Conflitto in
cui la “Catanzaro” rivestì un ruolo da protagonista con notevole
sacrificio e dispendio di sangue dei propri uomini.
C’è da dire che nelle numerose commemorazioni inerenti il 150°
anniversario dell’Unità d’Italia si discute se il Risorgimento
sia stato prevalentemente un movimento d’elite, formato in linea
di massima da studenti ed intellettuali appartenenti alle
regioni settentrionali, col grosso del popolo in veste di
spettatore, e se le popolazioni del sud parteciparono
attivamente a tale evento o lo subirono come un’annessione.
Certamente per avere una situazione significativa bisognerà
aspettare la Terza guerra d’Indipendenza che vide per la prima
volta il nuovo esercito italiano combattere per gli ideali e gli
interessi della Nazione unita; un esercito formato da cittadini
residenti nelle varie regioni d’Italia unificate sotto casa
Savoia. Ma per avere un riferimento molto più preciso bisognerà
per l’appunto analizzare le vicende legate alla Prima Guerra
Mondiale, non fosse altro perché tale conflitto ha determinato
il compimento del disegno risorgimentale italiano, e proprio per
questo motivo è stato anche definito come la Quarta guerra
d’Indipendenza.
Però la guerra 1915-1918 ha rappresentato una carneficina senza
precedenti, visto che un’intera generazione di italiani ne ha
subito le tragiche conseguenze. Seicentocinquantamila morti,
milioni tra feriti, mutilati e invalidi sono stati un prezzo di
sangue e di sacrificio elevatissimo e le conseguenze, anche in
termini demografici, economici e sociali, si sono risentite nei
decenni successivi.
Tale conflitto per la prima volta ha visto, in Italia, una
mobilitazione di massa che ha coinvolto milioni di persone
appartenenti alle diverse regioni attuando, nei fatti, la vera
unificazione degli italiani che, come da più parti sostenuto, è
avvenuta all’interno delle trincee, ove si sono trovati a
combattere e morire - assieme e sotto la stessa bandiera -
italiani, appartenenti alle varie regioni, differenti per
cultura, censo, usanze, dialetti, ma uniti da una stessa
uniforme ed identica Patria.
Il contributo in termini di mobilitazione e di sangue, espresso
in percentuale da parte delle regioni meridionali, non è stato
inferiore a quello delle regioni del nord Italia. Regioni,
soprattutto quelle della zona orientale, nelle quali si è
combattuto ed ove, per ragioni politiche e storico-geografiche,
erano molto più chiari gli scopi e gli obiettivi della stessa
guerra. Non c’è stata grande città o piccola borgata che non
abbia visto propri concittadini indossare un’uniforme
grigioverde, e non c’è stata famiglia in quegli anni che non sia
stata direttamente, o in modo indiretto, coinvolta da tali
tragici eventi.
Le regioni meridionali sono state determinanti nel compimento
dell’Unità nazionale ma tale contributo risulta poco noto e
divulgato, visto che a guerra finita, nell’esaltazione della
vittoria, è stata posta grande attenzione al totale dei caduti
in valore assoluto, nonché all’ irredentismo, volontarismo e
nazionalismo, fenomeni questi maggiormente espressi dalle
regioni settentrionali. Oltretutto, da una parte della
storiografia e della statistica militare, è stato evidenziato il
fenomeno della renitenza alla leva e della diserzione come
caratteristiche tipiche delle genti meridionali, a dimostrare
come questa guerra fu poco sentita od osteggiata dai soldati del
sud, omettendo invece inspiegabilmente ogni approfondimento sul
numero dei caduti (ed in primis in confronto ai soldati
mobilitati). Tali studi, infatti, riportano genericamente i dati
relativi alla diserzione, alla codardia, alla renitenza,
trascurando ogni riferimento al contributo di sangue da parte
dei soldati meridionali.
In realtà la renitenza non fu riconducibile solo alla grande
mobilitazione messa in atto durante il primo conflitto mondiale,
ma tale fenomeno era presente anche nei decenni precedenti, ad
iniziare proprio dagli anni immediatamente successivi alla
stessa unità d’Italia.
Sicuramente nella renitenza da parte delle regioni del sud,
influirono più che un antimilitarismo e avversione alla guerra,
anche fenomeni di emigrazione e sottosviluppo socioeconomico;
nei fatti tale reato militare non riguardò solo la Sicilia o le
grandi città meridionali, ma interessò anche città e regioni del
nord Italia ed analogamente la diserzione che, viceversa, era
maggiormente praticata dai soldati provenienti dalle regioni più
vicine alla linea del fuoco che approfittavano di ogni occasione
per andare a trovare i propri cari, in violazione agli ordini ed
alle consegne ricevute; cosa che fu maggiormente attuata durante
la ritirata di Caporetto.
I dati da analizzare non sono sempre chiari e completi, a
distanza di oltre 90 anni dalla conclusione degli avvenimenti.
Anche l’elenco delle regioni tiene conto della loro ripartizione
all’epoca dei fatti, per cui nel Piemonte è ricompresa la Valle
d’Aosta; nel Veneto il Trentino ed il Friuli; il Molise rientra
nell’Abruzzo.
Già a guerra finita sono iniziati i primi studi statistici sullo
sforzo militare, uniti alla pubblicazione dell’Albo d’Oro,
comprendente l’elencazione dei caduti in guerra, ma in un caso e
nell’altro i dati risultano incompleti e non definitivi.
Il dato più certo riguarda la mobilitazione, nei 41 mesi cui
durò la guerra, che ha interessato i nati, compresi nelle classi
1876-1900, per un totale di oltre 5 milioni di uomini (di cui
4.200.000 formarono l’esercito operante in zona di guerra ed i
rimanenti furono utilizzati in territorio nazionale nella
milizia territoriale), nella maggior parte dei casi appartenenti
alle regioni settentrionali; infatti il 48,7% dei chiamati alle
armi appartenevano all’Italia settentrionale; al centro il
23,2%; al sud il 17,4% ed alle isole il 10,7% .
In percentuale, la regione col maggior numero di mobilitati,
risulta la Lombardia (15,24%) e la minore la Basilicata (0,69%);
la Sicilia è la regione meridionale col maggior numero di
mobilitati (8,72%). Però se si raffronta tale dato con il numero
dei maschi in età di chiamata alle armi (censimento del 1911 ),
emerge che, a fronte di una media italiana del 74%, alcune
regioni del Sud come Calabria ed Abruzzo sono state molto
generose, rispettivamente col 78% e 94%, nel rapporto mobilitati
effettivi su mobilitati potenziali, e quindi con meno dispensati
o esentati; mentre la Liguria ha una percentuale solo del 44%, a
causa dei numerosi esoneri concessi agli operai delle industrie
ed agli equipaggi facenti parte della marina mercantile. Altro
dato significativo è che la stragrande maggioranza dei soldati
arruolati erano contadini, in confronto agli operai ed alle
classi agiate e borghesi.
Per quanto riguarda i caduti complessivi, la cifra più vicina
alla realtà è pari a 650.000 morti, che in modo impressionante
ci conferma che il 13% dei mobilitati non è ritornato vivo dalla
guerra. E tale percentuale è ancora più elevata se si escludono
gli oltre 800.000 militari appartenenti alla milizia
territoriale, a chi quindi prestava servizio non in zona di
guerra.
Il totale dei caduti si riferisce all’incirca a 500.000 morti in
combattimento, 50.000 a seguito di malattie e ferite contratte
in guerra e 100.000 morti in prigionia. Quest’ultimo dato è
significativo, perché per tantissimo tempo è rimasto ignorato e
poco approfondito, rappresentando un vulnus nella storiografia
della Grande guerra.
I dati scaturenti dagli elenchi regionali dell’Albo d’Oro
(pubblicati subito dopo il termine del conflitto), riportano
invece un totale di circa 530.000 caduti e, utilizzando questi
numeri, rapportando i caduti sul totale mobilitati, suddivisi
per regione, emerge che, a fronte della media nazionale del
10,50% di soldati morti sui mobilitati: Basilicata, Sardegna e
Calabria (quest’ultima regione con ventimila morti) sono state
le regioni col maggior numero di morti in guerra in termini
percentuali ed in rapporto alle truppe mobilitate
(rispettivamente col 21,06%, 13,85% e 11,31%).
Analogo discorso per i 30770 mutilati (utilizzando i dati a cura
della sanità militare) ove emerge che la Basilicata, in
percentuale ed in rapporto ai mobilitati, è la regione col
numero più alto, e le altre regioni meridionali presentano
valori superiori alla media nazionale.
Un’ultima analisi è rappresentata dalla concessione delle
Medaglie d’Oro al Valor Militare, ove col totale Italia di 351
medaglie individuali (di cui un 80% conferite alla memoria),
pari allo 0,007% sul totale uomini mobilitati, la regione più
decorata, con la massima onorificenza, è la Sardegna, con un
percentuale del 0,014%, seguita dalla Liguria (0,011). La
Calabria, con 14 Medaglie d’Oro, ha una percentuale superiore
alla media nazionale, pari a 0,008%. In questo caso deve pesare
nel giudizio anche la constatazione che l’apposita commissione
che valutava le proposte di concessione delle decorazioni,
costituita in seno al Ministero della Guerra, era molto più
favorevole a concedere le medaglie a militari (soprattutto
ufficiali e graduati) delle regioni irredente.
Ma in quali reparti combatterono i soldati calabresi?
Con una mobilitazione di massa senza precedenti, l’Arma col
maggior numero di componenti fu la Fanteria che, in virtù dei
compiti ad essa riservati e per il tipo di guerra combattuta,
caratterizzata da lunghi periodi in trincea ed assalti
cruentissimi alla baionetta contro le postazioni nemiche, fu
quella più sfruttata e che pagò il prezzo più alto in termini di
vite umane. L’80% del totale caduti in combattimento durante la
Grande Guerra, furono proprio fanti, seguiti da bersaglieri,
alpini e granatieri (sempre specialità della fanteria).
Il sistema di reclutamento, ante guerra, prevedeva, affianco il
cosiddetto esercito permanente, basato su 48 brigate di
fanteria, la creazione di unità di milizia mobile, da
costituirsi in caso di mobilitazione.
Nel 1915, esattamente 96 anni fa, furono pertanto create 25
nuove brigate, e la brigata Catanzaro fu una di queste, che
diventarono 40 nel 1918. Ogni brigata era formata da due
reggimenti di 3000 uomini ciascuno; i reggimenti che formavano
la Catanzaro erano numerati con il 141° ed il 142°.
Il reclutamento avveniva attraverso i centri di mobilitazione,
formati dai distretti militari e dai depositi di leva che,
quanto meno nei primi anni di guerra, alimentavano gli stessi
reggimenti, tant’è che inizialmente la Catanzaro ebbe un
reclutamento d’impronta regionale mentre negli anni successivi
fu formata da soldati appartenenti ad altre regioni, quasi
esclusivamente meridionali.
In Calabria erano presenti alcuni reparti di esercito permanente
e più precisamente il 19° reggimento fanteria “Brescia” a
Cosenza, il 20° “Brescia” a Reggio (col comando di brigata a
Catanzaro che era anche sede in tempo di pace della 22 divisione
territoriale) ed il 48° “Ferrara” a Catanzaro. Da questi reparti
si formarono quindi nuove unità di milizia mobile che operarono
in prima linea: dal deposito di Catanzaro si formarono il 141°
fanteria “Catanzaro”, il 96° reggimento “Udine” ed il 221° “Jonio”;
dal deposito di Cosenza il 142° “Catanzaro” e 243° “Cosenza”;
dal deposito di Reggio il 246° reggimento “Siracusa”.
Lo stesso criterio valeva per la creazione dei reparti di
milizia territoriale (con compiti di presidio in zone non di
guerra) e per le compagnie di mitraglieri inserite in organico
nei reggimenti di fanteria. Naturalmente le esigenze belliche ed
operative fecero si che, col passare del tempo, tali criteri di
mobilitazione furono meno rigidi, per cui nel corso del
conflitto, anche per colmare i vuoti di organico, si poteva
essere spostati da un reggimento all’altro, anche differente in
confronto al reclutamento iniziale, e le varie ricerche su
questo aspetto hanno evidenziato che la presenza dei calabresi
fu spalmata in innumerevoli reparti, non solo quelli di naturale
destinazione. Emblematico è il caso del 219° Reggimento di
Fanteria “Sele” che, pur avendo come centro di mobilitazione la
città di Salerno, vide combattere nelle sue fila tanti
calabresi. Risultano infatti deceduti, nel corso dei
combattimenti cui il reparto fu interessato, ben 13 soldati nati
a Catanzaro. Nello stesso tempo furono tantissimi i calabresi
che combatterono in altre Armi, come l’Artiglieria e Cavalleria,
che per la natura dei compiti a loro assegnati, avevano un
differente sistema di reclutamento in confronto alla Fanteria.
Quarantadue catanzaresi morti in guerra appartenevano al 48° rgt
Ferrara (l’intera brigata ha avuto oltre 2800 caduti), quello
più legato alla città di Catanzaro perché presente in città
prima della guerra; 12 i caduti appartenenti al 141° Catanzaro
(furono 2220 i caduti complessivi della brigata) e 6 del 19° rgt
Brescia (oltre 3000 i caduti dell’intera brigata). Più nello
specifico la brigata Catanzaro ha avuto per l’appunto 2220
caduti ed oltre 12000 feriti; 36.000 furono gli uomini che dal
1915 al 1918 indossarono l’uniforme con le mostrine rosse e nere
identificative della Catanzaro.Di essi, 360 militari di vario
grado ricevettero decorazioni al valor militare; 3 furono
decorati con medaglia d’oro (Alberti, Cassoli, De Vecchi). La
bandiera del 141° rgt fu decorata di medaglia d’oro e furono
solo 9 rgt su oltre 250 ad avere la massima onorificenza nel
corso delle operazioni belliche.
Oltre ad essere tra le più sacrificate in rapporto al personale
mobilitato, un'altra caratteristica di questo reparto fu che
complessivamente operò in prima linea, durante tutto il
conflitto, per oltre il 60% delle giornate, mentre il rimanente
periodo agì in retrovia o a riposo, in controtendenza rispetto
agli altri reparti ai quali spettarono più giorni di riposo che
di combattimento, a dimostrazione dell’utilizzo costante che i
comandi fecero di questa brigata ritenuta estremamente valorosa
e combattiva e definita per questo motivo la “brigata di ferro”
dal comando supremo. La sua combattività era riconosciuta anche
dagli avversari. Però tale reparto fu sottoposto per ben due
volte alla terribile pena della decimazione e cioè la
repressione dei reati collettivi attraverso la fucilazione
sommaria, come monito, di 1 soldato scelto a caso tramite conta,
ogni 10 appartenenti ad un reparto colpevole di un grave reato
militare come lo sbandamento e la rivolta. Per questi reati i
fanti della Catanzaro subirono l’onta di tale pena,
rispettivamente nel maggio 1916 sul monte Mosciagh e nel luglio
1917 a Santa Maria la Longa; ma tali episodi non intaccarono il
valore e l’alone di leggenda che sempre ammantò la brigata fino
al termine del conflitto.
La Brigata fu sciolta nel 1920 per essere ricostituita durante
la seconda G.M. col nome di 64 divisione Catanzaro, annientata
nel 1941 dagli inglesi in Africa Settentrionale. Nel 1975 fu
ricostituito il 141° battaglione fanteria “Catanzaro” di stanza
in Sicilia ove operò fino agli anni 90 quando venne
definitivamente sciolto .Quindi ad oggi non c’è alcun reparto
operativo che porti il nome della Catanzaro. Rimane però un
ricordo indelebile sulle vicende che si estrinseca attraverso
libri, ricerche, tesi di laurea, fumetti storici,
rappresentazioni teatrali e momenti di ricordo come questo che
oggi stiamo celebrando.
Elevatissimo quindi è stato il contributo di sangue e di valore
espresso dalla Calabria e dalle altre regioni del Sud nella
causa dell’Unità nazionale e pertanto, in questo periodo di
celebrazioni e commemorazioni, si rende necessario ricordare
tali uomini che pur essendo in linea di massima contro la guerra
e privi di un sentimento di avversione verso il nemico, erano e
si sentivano italiani, facendo nella stragrande maggioranza dei
casi il proprio dovere in virtù di un arcaico sentimento
dell’onore e rispetto.
Tantissimi di loro immolarono la vita per la causa dell’unità
nazionale; valore questo che oggi qualcuno tende a
ridimensionare e rivedere, ma che invece deve rappresentare un
elemento di coesione da difendere e perpetuare, anche per
onorare la memoria di chi ha dato la vita perché ciò potesse
realizzarsi e per evitare che tale enorme sacrificio sia stato
vano.
Concludo citando le parole scritte su un documento conservato
presso il Museo storico di Trieste, città simbolo della Grande
Guerra, e riferite al sacrificio dei fanti della Catanzaro, ma
simbolicamente estese a tutti i soldati calabresi:
“ Italiani li ricordate i rossi e i neri della Catanzaro? 141° e
142°, i numeri sacri della Calabria eroica!
Dalle spiagge assolate del Mar Jonio, dai villaggi sperduti tra
la Sila e l’Aspromonte, dalle città risorte sulle rovine dei
terremoti, questi figli della terra che per prima ebbe il nome
Italia, accorsero al fronte cantando nei lunghi treni infiorati
ed imbandierati. Ma ogni conquista fu battezzata nel loro
sangue, ogni cimitero fu popolato dai loro morti e noi tutti con
deferenza Vi ammiriamo, o eroi della Catanzaro”.
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Il Quotidiano della Calabria – Catanzaro 18 giugno 2011
Al
Museo storico militare, l’iniziativa dell’Associazione “Calabria
in Armi”
Protagonista la storia d’Italia
di
ANTONIO P. DI TOCCO
Un’Italia finalmente unita è apparsa il 24 maggio 1915
riecheggiando nel ricordo di oltre cinque milioni di soldati
mobilitati per la Grande Guerra e dei 650 mila caduti sul fronte
italiano.
Una storica ricorrenza, che celebra l'entrata in guerra
dell'Italia, che non può passare inosservata agli italiani in
memoria dei Caduti e dei decorati al valor militare.
Una storica data, oggi conglobata nelle celebrazioni della
giornata del 4 novembre, per esaltare i valori spirituali delle
nostre Forze armate.
E presso il Musmi – Museo storico militare “Brigata Catanzaro”
ubicato all'interno del “Parco della Biodiversità Mediterranea”
la storia della nostra Patria è stata ancora assoluta
protagonista, con le sale ricolme di cimeli, documenti,
vessilli, dettagliate ricostruzioni dei campi di battaglia e di
sofferenza.
L'occasione per risaldare i vincoli di Unità, stretti nelle
trincee con il sangue e il sacrificio di soldati provenienti da
ogni regione,è stata offerta dall'Associazione “Calabria in
Armi” che ha curato la scopertura di un pannello commemorativo
dedicato all'Inno della Brigata Catanzaro “cantato a Trieste -
ha dichiarato il presidente Mario Saccà - dai suoi soldati il 16
novembre 1919 in occasione della posa del bassorilievo presso la
Caserma in memoria dell'irredentista martire triestino Guglielmo
Oberdan”. Patrocinata dall'Amministrazione Provinciale di
Catanzaro, la manifestazione è voluta essere un doveroso omaggio
ai valorosi fanti del 141°- Marina e 142°- Monteleone
Reggimento.
La “Brigata Catanzaro” costituita da 6 mila unità, sempre in
prima linea, fu protagonista di varie azioni belliche sul fronte
del Carso ottenendo, il 141°, una Medaglia d'Oro al Valor
Militare e, il 142°, una d'Argento al valor militare.
Arditi uomini dalle mostrine rosso-nere, partiti alla conquista
di una propria libertà, che non risparmiarono eroiche gesta,
fino all'estremo sacrificio, per la libertà di un popolo. E
anche dei 300 sopravvissuti dopo tre mesi di combattimenti,
rimane traccia al Musmi con la pagina di copertina del
supplemento numero 24 datato 11.18 giugno 1916 de “La Domenica
del Corriere” illustrato da Beltrame per la cronaca allorquando
“un brillante contrattacco dei valorosi Calabresi del 141°
fanteria libera due batterie rimaste circondate sul monte
Mosciagh”.
A completare il quadro storico, tra strategie, innovazioni
tecnologie e blocchi delle politiche militari attuate durante la
Prima Guerra Mondiale il generale Pasquale Martinello a cui sono
seguite le relazioni del socio Vincenzo Santoro sul contributo
dei calabresi durante la Grande Guerra e del professor Antonio
Gioia sul futuro della memoria.
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