CALABRIAINARMI  

 " PER LA PATRIA! "

 

   
     

    "GARIBALDO E I GARIBALDI A CATANZARO"

   

 

 
 

Certamente Garibaldi fu uno dei protagonisti principali del Risorgimento, anzi il protagonista se si pensa alle sue campagne di guerra.

Nato a Nizza, marinaio di mestiere (era iscritto all’albo di categoria in qualità di capitano marittimo), sempre di idee mazziniane e per questo motivo Cavour diffidò di lui, iscritto alla Giovane Italia, condannato, fu esule in America latina dove combatté contro i regimi totalitari del Brasile e dell’Uruguay, tornò in Italia, partecipò alla prima guerra d’Indipendenza e continuò a combattere dopo l’armistizio Salasco, detto così dal nome del firmatario. Difese la repubblica romana col triumvirato di Mazzini, Armellini e Saffi e nella II guerra d’Indipendenza fu a capo dei Cacciatori delle Alpi.

Il suo nome è legato alla Spedizione dei Mille (1860) che riuscì perché i tempi erano maturi. L’Austria aveva subito le sconfitte di Solferino e San Martino. Precedentemente sia il moto rivoluzionario dei fratelli Bandiera che quello di Pisacane erano falliti. I Mille salparono da Quarto nei pressi di Genova il 6 maggio, in mezzo a loro c’era una donna, originaria della Savoia, Rosa, chiamata Rosalia, moglie di Francesco Crispi, poi abbandonata dal marito che si risposò divenendo bigamo, lei morì povera a Roma.

I Mille s’impadronirono di due piroscafi della società Rubbettino: il Piemonte e il Lombardo comandati il primo dallo stesso Garibaldi, uomo di mare e l’altro da Nino Bixio, fuorilegge e violento.

Erano ordinati in sette compagnie di cui una al comando del barone Francesco Stocco. Si fermarono in Toscana, a Talamone per fare rifornimento di armi e sbarcarono a Marsala.

Le popolazioni preparate all’arrivo delle Camicie rosse da Crispi e da Rosolino Pilo accolsero i liberatori con entusiasmo.

La conquista dell’isola non fu facile, con gli scontri a Calatafimi, l’occupazione di Palermo, la battaglia di Milazzo immortalata poi da Guttuso in un famoso quadro. A Bronte i contadini dopo aver dato il proprio contributo, chiesero la realizzazione delle promesse e cioè la distribuzione delle terre ma Bixio per evitare una controrivoluzione, fece sparare alla folla. Lo Stato italiano ha chiesto scusa pochi anni orsono.

Per entrare in Calabria, Garibaldi con 3000 camicie rosse s’imbarcò dalla rada di Giardini, nelle vicinanze di Taormina con due vapori: il Torino, che s’impigliò nei pressi di Rumbolo e fu calato a picco da una nave borbonica, e il Franklin, che batteva bandiera americana e poté proseguire. Il primo ad attraversare lo stretto fu il calabrese Benedetto Musolino, definito da Luigi Settembrini l’apostolo della Giovane Italia di Calabria.

Alla spedizione parteciparono 21 calabresi. Della provincia di Catanzaro vi furono:

1. il barone Francesco Stocco di Decollatura;

2. Carlo De Nobili da Corfù (il padre si era rifugiato in Grecia dopo l’omicidio del giovane Saverio Marincola);

3. l’ing. Raffaele Carbonari di Catanzaro che per motivi di salute non proseguì fino al Volturno;

4. Gregorio Nicolazzo di Platania;

5. Alessandro Toia di Gizzeria;

6. Raffaele Piccoli, figura complessa, sacrestano, frate, prete combattente, fu a capo dei Cacciatori della Sila, considerato poi facinoroso perché poi avrebbe fondato la repubblica di Filadelfia, fu incarcerato , non fruì della pensione e morì suicida.

I Mille sbarcarono a Melito il 20 agosto, il giorno successivo entrarono a Reggio. Si verificarono sparatorie, confusione e lo stesso Bixio fu colpito da una pallottola ad un braccio. La città si arrese quando apparve sul castello la bandiera bianca. Furono consegnati trenta cannoni da posizione, otto da pugna e molti fucili. Ai vinti furono lasciati le spade e l’equipaggiamento.

Garibaldi proseguì il cammino, occupò Monteleone (Vibo), prese la via della montagna, arrivò a Maida (28 agosto), Tiriolo, San Pietro (29) dove si coprì il capo col cappello calabrese a cono regalatogli da Ferdinando Bianchi di Bianchi.

A Soveria Mannelli (30 agosto) l’esercito borbonico con 12 mila uomini guidati dal generale Ghio si arrese a Stocco.

Alcuni notabili della nostra città si recarono a Soveria per invitare l’eroe a visitare Catanzaro, ma quello di risposta: “Prima il dovere e poi il piacere”.

Il passaggio nella nostra regione fu piuttosto agevole, si disse che i generali borbonici fossero corrotti, Filenio Briganti venne fucilato col suo cavallo dagli stessi suoi soldati col grido: “Al traditore!”. Gallotti e Melendez capitolarono.

Il successo di tutto il percorso fu dovuto, secondo alcuni storici, all’influenza della Massoneria, Garibaldi era massone e la loggia Tommaso Campanella di Catanzaro si rifaceva al Grande Oriente di Palermo ispirato alla democrazia, alla laicità dello Stato, la libertà d’opinione e l’aiuto agli indigenti, ideale dell’eroe.

La nostra città fu all’altezza dei tempi grazie al comportamento del canonico Antonio Greco. Egli intuì il precipitarsi della situazione, ebbe anche a che dire con l’intendente e il sindaco che avrebbero preferito aspettare gli eventi. Gli aristocratici terrieri, in caso di governo provvisorio avrebbero preferito Francesco Stocco, sostituito da uno dei due nipoti, gli intellettuali lo stesso Greco. Greco nel rispetto della legalità indisse un plebiscito che lo acclamò con 802 sì, su 12 no. Fissò il quartiere generale nel Palazzo dell’Intendenza e si associò a Vincenzo Stocco.

In città la maggior parte della popolazione era per i garibaldini. Tra i notabili l’avv. Liborio Menichini, avvocato già allievo di Settembrini e di De Santis, l’avv. Raffaele Pascali, fratello del martire del ’23, i Cefaly, i Migliaccio, i Manfredi, i De Riso, insigniti prima baroni e poi marchesi dalla casa regnante, Carlo Schipani, che formò una compagnia e prima di partire ricevette la benedizione nella Chiesa del Rosario.

Il vescovo Raffaele De Franco filo borbonico non si espose, poi avrebbe chiamato Vittorio Emanuele II rex italicus e non rex Italiae. Erano filo borbonici ancora i padri liguorini di S. Caterina e gli Osservanti.

Greco riuscì a convincere un certo Azzarone, capo dell’ufficio telegrafico affinché intercettasse gli ordini borbonici. Il 27 agosto si vociferò del passaggio di un esercito regio e allora mandò fuori dall’abitato falsi mercanti che di divulgassero false notizie sulle possenti fortificazioni della città.

A Catanzaro giunse la brigata Bixio il 31 agosto con 200 uomini e il giorno successivo le brigate Eber e Sacchi con 3000 uomini. Così l’avv. Giuseppe Manfredi annotò nel suo diario: “Grida sfrenate di gioia acclamando Garibaldi e Vittorio Emanuele. La bandiera la portava D. Ignazio Franco e poi D. Luigi Marincola, il quale la portò al posto della G. Nazionale sito nel cosiddetto seggio in Piazza, consegnandola a mio figlio Cesarino sergente, il solo che in quel momento stava al suo posto.

La bandiera fu issata al gran balcone del posto di guardia sporgente sulla piazza”.

Il popolo era gioioso, tutti accorrevano per arruolarsi, non volevano rinunziare alla bella gloria di battagliare con Garibaldi. Gridavano “Viva Garibaldo, viva la Talia”.

Ai volontari registrati in casa di Luigi Marincola era concessa una diaria di 30 grani al giorno.

Bixio alloggiò in casa Rocca dove le autorità si affrettarono a prestargli omaggio. Giunse anche una signora che disse di essere la Contessa La Tour la quale non fu mai identificata.

Anche i conventi e gli orfanotrofi si prodigarono a dare ospitalità ai combattenti. Ricevevano danaro e viveri, Orazio Scalfaro offrì i gioielli di famiglia.

Erano belli quei giovani nella giubba rossa bordata di verde con otto bottoncini decorati a racemi e pantaloni in tela naturale con bottonatura laterale. Fu seppellito nel nostro cimitero uno di loro, dopo il rito religioso nella Chiesa dell’Immacolata. Il suo nome era Torri Torelli di Lecco.

Le camicie rosse partirono dalla nostra città dopo aver comprato cavalli, traini, carrozze e tutto quello che poteva loro servire. Si cantava dappertutto il ritornello: “Addio mia bella, addio, l’armata se ne va, se non partissi anch’io sarebbe una viltà”.

Il friulano ingegnere Carlo Pecorini Manzoni, col doppio cognome perché la madre era sorella del poeta, capo di stato maggiore del generale Thurs nel 1863 si stabilì definitivamente nella nostra città unendosi in matrimonio con la nobile Nicolina Marincola San Floro.

Con un dispaccio del 5 settembre il dittatore ordinò che a tutti i soldati regi sbandati che transitavano nel territorio si desse una razione militare di pane e 2 grani.

Intanto venivano valutate le questioni annonarie e si formavano i comitati di quartiere per il controllo dei prezzi, scendeva il prezzo del sale.

A Santa Barbara furono delegati Cesare Felicetti e Michele Manfredi, al Carmine Alfonso Cricelli e Luigi Tiriolo, a Montecorvino Giuseppe Pericciuoli e Vitaliano Basta, a San Nicola Giuseppe Rossi e Vincenzo Colao. Giovanni Marincola rinunziava al mandato di sindaco e subentrava Liborio Menichini.

Il 15 settembre Francesco Stocco veniva nominato da Garibaldi prodittatore e all’arrivo veniva anche fischiato. I carbonellari chiedevano la ripartizione del bosco dei Comuni.

Giuseppe Garibaldi, paragonato a Giulio Cesare, ad Alessandro Magno è una figura carismatica, perché è l’eroe secondo i gusti del popolo.

E’ irragionevole, liberatore di professione, ma conformista, talvolta sfortunato, generoso, irascibile, burbero, umano. Colpisce anche il suo aspetto fisico con le chiome fluenti e soprattutto la camicia rossa, che era stata l’uniforme dei legionari garibaldini in Sud America.

Garibaldi rappresenta l’aspetto individuale di un sogno collettivo.

E’ imitato, il suo cognome diventa nome proprio. Ha dato agli Italiani autostima, la sicurezza di farcela, di combattere sui campi di battaglia per riconquistare la patria.

In tutti i paesi d’Italia gli è intestata o una strada o una piazza o una statua.

La leggendaria storia di G. rende protagonisti personaggi del territorio. Tra questi il mitico Achille Fazzari di Stalettì . Figlio dell’architetto Nunziato , attivista di idee liberali , si distinse per intelligenza e capacità. Seguì il generale al Volturno e a Mentana e fu ferito a Montelibretti . Godette di immensa fiducia da parte dell’eroe al quale organizzò nel 1882 il viaggio della Sicilia in occasione dei 600 anni dei Vespri Siciliani e poi l’imbarco per Caprera. In quell’occasione G. fu ospite a Copanello della madre del Fazzari e nell’osservare lo stupendo panorama disse di trovare quella dimora preferibile ad altre.

C’era una parentela tra i 2 in quanto Elsa , figlia di Achille , aveva sposato in prime nozze Foscolo Canzio e rimasta vedova , l’anno successivo , Cairoli Canzio , nipoti del generale in quanto figli di Teresita.

Fazzari è una figura controversa , si dice che fosse ricchissimo. Comprò lo stabilimento della Mongiana , all’asta per lire 524.667,21 e terreni fino alla punta Stilo. Valorizzò per primo la sorgente dell’acqua Mangiatorella.

Fu deputato di destra nel collegio di Chiaravalle e profondamente cattolico cercò di conciliare il rapporto Chiesa-Stato.

Altra figura del tempo è Giuseppe Rossi Milano S. Floro, suocero di Fazzari avendo questi sposato la sua unica figlia , Mariannina detta Mannì .

Nel 1860 fu referente del partito liberale , aveva combattuto nel 1848 all’Angitola

Molto apprezzato per le sue capacità oratorie fu scelto perché parlasse col Generale a Soveria e lo invitasse a venire a Catanzaro e , fu proprio lui a tenere compagnia all’eroe durante il soggiorno di Copanello.

Fu definito il mestolo della vita catanzarese in quanto occupò molte cariche pubbliche. Sindaco della città per 20 anni , Presidente del consiglio provinciale , Presidente della congregazione di carità , fondò l’Istituto dell’orfanotrofio maschile poi dedicato a lui. Fu deputato del parlamento e senatore del Regno d’Italia e sedette a sinistra . Presidente dell’ordine degli avvocati festeggiò i 60 anni di professione.

Per ultimo si ricorda Francesco Corrado , del quale parla Patari , detto “U Tarallu” . Egli asseriva di essere il più garibaldino di tutti. Con gli occhi umidi di commozione ricordava il dialogo tra Gustavo Scalfaro e Peppe: “Generale vogliamo qui tutti morire” e Peppe di risposta: “No qui , osta , non muore nessuno”. E tra le sue carte faceva vedere quella relativa al congedo firmata Garibaldi. Era stato nella compagnia di Raffaele Scalfaro. Quando lo colse la morte , non aveva ricevuto la pensione privilegiata da lui tanto agognata.

 

Francesca Rizzari Gregorace

 
     

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