CALABRIAINARMI

 " PER LA PATRIA!"

"GAETANO RENDA”

Soldato del 17° Reggimento fanteria "Acqui"

 

 

IL MIO  RICORDO DELL’ ECCIDIO A CEFALONIA

La Medaglia d’onore concessa con legge dello Stato ai cittadini italiani deportati in Germania  nei lager nazisti [1]Gaetano Renda, nato a Sambiase nel 1923,  l’ha avuta  il 2 Giugno di quest’anno, dalla mani del Prefetto di Catanzaro e del Sindaco di Lamezia Giovanni Speranza.  Pochi sapevano che quell’ uomo è uno degli ultimi reduci della strage di Cefalonia  compiuta dai tedeschi a danno dei soldati italiani dopo la firma dell’armistizio dell’8 Settembre 1943.

La storia di quello scontro fra ex alleati, durato circa 20 giorni e concluso con la fucilazione di migliaia di nostri militari , è stata riproposta negli ultimi anni dal Presidente della Repubblica Ciampi nel corso della visita  del 2001 ai luoghi dove avvennero i combattimenti[2].  Nel 2006 il Parlamento licenziò, dopo un oblio di oltre sessanta anni,  la legge che riconosceva ai reduci ed ai civili imprigionati nei  campi di concentramento  nazisti la Medaglia d’ Onore della Presidenza del Consiglio.

          

         Gaetano Renda a sinistra del  Prefetto Antonio Reppucci

Gaetano Renda  la mattina della Festa della Repubblica, accompagnato dall’ affetto della figlia, del genero e dei nipoti, era seduto sulla sedia a rotelle e non ha trattenuto le lacrime  quando  gli è stata consegnata la Medaglia d’ Onore. I suoi occhi vedono poco, ma nella sua mente sono tornate le immagini di quei  giorni tragici durante i quali dovette assistere alla strage dei suoi compagni d’ arme.

La storia l’aveva raccontata a me il Martedì 6 Novembre 2012 nella sua casa di Sambiase, presenti i familiari e il genero Albino Gigliotti che mi aveva parlato di lui qualche giorno prima su Corso Numistrano, dove ci siamo rivisti, per caso, dopo molti anni.

Quelli della  generazione  che ha combattuto nella II guerra mondiale  hanno vissuto in famiglie numerose dove i bambini lavoravano fin dall’ età scolare in aiuto ai genitori che, contadini oppure operai dell’ edilizia, avevano nella sola forza delle braccia gli strumenti per  mettere insieme le risorse necessarie.  Tuttavia costruirono  un robusto punto di riferimento che li porto’ a realizzare una vita dignitosa e un altrettanto sicuro avvenire per i figli.  Anche Gaetano fu fra questi.  Iniziò a raccogliere le olive a 10-12 anni dopo avere frequentato le prime classi  elementari. Il padre era muratore e la madre si occupava della casa e dei numerosi figli. Quelli avuti con il primo marito dovevano aiutare i piu’ piccoli, nati  dalle seconde nozze della  donna.“ Lavoravo solo per mangiare” racconta , e la mia gioventù è trascorsa così, con rari momenti di svago con i coetanei , in prevalenza nei giorni festivi o nelle ricorrenze tradizionali.  Gli anni fra le due guerre mondiali erano quelli del fascismo e la sua generazione crebbe in quel contesto. L’  istruzione pre militare  settimanale era un appuntamento al quale era difficile sfuggire. Il podestà  di Sambiase in quel tempo  era Rubino, l’ istruttore del “Sabato fascista” Dario Mauro. Marce, percorsi di guerra, tecniche di combattimento erano le esercitazioni prevalenti. Nelle cerimonie ufficiali i “ Balilla” venivano convocati per far parte delle parate. Renda ricorda la visita di Vittorio Emanuele III  e la rassegna ai soldati che partivano per la guerra. Mussolini lo vide a Santa Eufemia allorchè, intervenendo in occasione della bonifica della piana, aveva promesso che al loro compimento sarebbe diventata una città. Non sbaglio’, oggi Lamezia lo è. Il nostro intervistato non amava il fascismo per due motivi: si stava male e col lavoro delle braccia si poteva appena campare. Inoltre mancava la libertà di parola e pronunciarne qualcuna sbagliata comportava l’ arresto da parte dei carabinieri. Anche dopo la guerra  ha mantenuto invariato il suo punto di vista.

 

LA GUERRA, CEFALONIA

Giunsero per lui gli anni della maggiore età  che coincisero con l’inizio della II guerra mondiale. La visita di leva la sostenne nel Maggio 1942, dopo il compimento del 18° anno;  seguì il congedo provvisorio. Ma nel Gennaio 1943 , a 20 anni ed a conflitto iniziato, fu arruolato nel 61° Reggimento Fanteria ( brig. Sicilia)  con destinazione Trento. Trascorso il periodo di istruzione fu trasferito a Montecorvino ( SA) e da lì a Brindisi. Inquadrato nel 16° RF ( brig. Savona) a Giugno del 1943 si imbarco’ per  la Grecia. Giunto nella zona di guerra fu assegnato al 17° Reggimento della Divisione Acqui, prima a Patrasso e successivamente, nel Luglio, a Cefalonia. Erano quasi mille , utilizzati come complementi  furono divisi fra vari reparti. Renda andò  ad Argostoli, capoluogo dell’ Isola, quando arrivarono le unità tedesche. La guerra non aveva sviluppi  positivi per loro e neppure per gli italiani. Il nostro Paese era stato attaccato dalle forze alleate, sbarcate in Sicilia nel Luglio del ’43. I germanici avevano incassato il colpo e stavano ritirandosi verso Salerno per opporre maggiore resistenza  all’ avanzata anglo- americana utilizzando la linea Bernhardt  nei pressi di Mignano Montelungo e la linea Gustav a Montecassino.

Un soldato tedesco, probabilmente  deluso  per   quegli eventi disse a Renda “ Tu andare a combattere in Sicilia”, significando che la difesa dell’ Italia non riguardava piu’ le divisioni di Hitler ma solo i nostri connazionali. I soldati italiani  di Cefalonia avevano saputo della caduta e dell’ arresto di Mussolini il 25 Luglio ma non avevano festeggiato . Qualche giorno prima dell’ 8 Settembre il generale Gandin, comandante della Divisione Acqui, aveva chiesto al nostro Gaetano da dove proveniva  preannunciandogli l’ arrivo di buone notizie molto presto. Evidente il riferimento alla firma dell’ armistizio di Cassibile poi reso noto via Radio, pur essendo stato firmato qualche giorno prima dopo numerosi contatti segreti fra gli uomini del Re  e i rappresentanti Alleati. “ Ascoltammo l’ annuncio all’a vicina emittente della Marina. I nostri soldati esultarono e festeggiarono sparando in aria, verso il mare. Gli ufficiali intervennero subito per frenare gli entusiasmi. Ci dissero che il nemico era alle nostre spalle e avremmo dovuto difenderci, se attaccati. La  notte ci misero in marcia;  sostammo dopo un cammino di alcune ore. Al mattino dopo venne un maggiore che disse essere di Nicastro ( probabilmente Galli ndr) e ci invitò a consegnare le armi ai tedeschi perché ci avrebbero portati in Italia. Non accettammo la proposta , temevamo per la nostra libertà e per la vita: i nostri ex alleati  ci avrebbero presi prigionieri e avviati chissà dove. Non immaginavamo quello che sarebbe successo in seguito. Avevamo le armi e le munizioni, anche se non erano giunti altri rifornimenti.  Un colonnello di artiglieria ci disse di andare a tenere fermi i tedeschi: questo fu un ordine che condividemmo tant’è che in fila indiana ci mettemmo subito in cammino verso le postazioni utili. Lo scontro iniziò anche a colpi di cannone e di mitraglia. Un aereo tedesco fu abbattuto dalla nostra Marina. Ma dopo si scatenarono gli Stukas che bombardarono per l’ intera giornata.  Continuammo a combattere e ad andare all’ assalto al grido di “Savoia!” ;costringendo  i tedeschi  alla resa . Catturammo molti prigionieri in quella fase della battaglia... Ma non era finita: Il mattino seguente gli Stukas  tornarono e bombardarono il comando italiano. Vidi la scena da vicino tanto da assistere alla sua distruzione”.

“In seguito il nostro raggruppamento fu trasferito sull’ altro lato dell’ Isola di Cefalonia . Fu li che i greci abitanti del posto ci informarono delle fucilazioni di massa dei nostri commilitoni di Argostoli. I tedeschi avevano ricevuto i rinforzi che vinsero la nostra resistenza e per 48 ore ebbero mano libera per compiere la strage.  Uccisero TUTTI i miei compagni” , dice Gaetano Renda allontanandosi con  lo  sguardo verso quel luogo e con voce commossa. Erano trascorsi quasi venti giorni dall’ 8 Settembre e gli italiani erano rimasti senza ordini e rifornimenti, abbandonati da Roma, malgrado il tentativo dell’ equipaggio di un MAS che era riuscito a raggiungere Brindisi per informare i nostri comandi di quanto stava accadendo a Cefalonia. Il Re i i suoi generali avevano lasciato l’ Italia e gli italiani, soprattutto i soldati che avevano combattuto per loro. Non giunse mai nessuna risposta!  “Nella  parte dell’ isola dove mi trovavo-prosegue Renda-  vennero portati  da Argostoli 9 marinai e alcuni civili. Ci fecero scavare una fossa e mentre lavoravamo con il dubbio che era giunta la nostra ora un soldato tedesco disse che non era destinata a noi. Infatti i marinai ed i civili furono fatti entrare dentro lo scavo ed uccisi a colpi di mitraglia, coperti con poca terra e lasciata compiere a noi la sepoltura definitiva.  Non siamo stati fucilati forse per due motivi: per non avere sparato contro i nostri avversari e perché loro erano ormai sazi di sangue italiano dopo il massacrato di ottomila nostri soldati, imposto da Hitler. A sopravvivere fummo circa 4000. Nelle ore che seguirono ci portarono sul luogo dell’ eccidio per  bruciare i cadaveri dopo averli cosparsi di benzina”. Un’opera crudele che non ha bisogno di essere commentata!

Ma non era finita: i superstiti furono imbarcati su  4 navi e condotti ad Atene.  Altre tre  navi erano saltate sulle mine e durante il percorso veniva usata la mitraglia per colpire quelle vaganti e farle saltare. Giunti  a destinazione due generali, uno italiano e l’ altro tedesco, chiesero a ciascuno di noi se intendevamo collaborare con i germanici . Chi era disponibile doveva schierarsi  da un lato, gli altri su quello  opposto. Io fui fra i secondi e venni percio’ deportato  nel campo di prigionia di Vilnius nella Russia Bianca dove lavorai . Ma le sorti della guerra non erano favorevoli ai soldati di Hitler e man mano che le divisioni russe recuperavano il terreno perduto le truppe germaniche si ritiravano e noi dovevamo seguirli in altri campi: prima a Pruzany e poi a circa 100 Km da Varsavia.[3]

 

MARISHA

Giungemmo in Polonia ,un luogo dove la durezza della prigionia fu compensata dall’ incontro con una ragazza del luogo, operaia in una fabbrica di salumi, che si chiamava Marisha. Era socievole, ma parlava con tutti e non con me. Decisi allora di aspettarla nascosto dietro un muro, vicino al reticolato del campo ; riuscii a incontrarla e a parlarle. Iniziò l’ amicizia che si trasformò in affetto fino a che decidemmo di fidanzarci nel modo in cui era possibile nella condizione di prigioniero. Nello stesso periodo ero riuscito ad avere un buon rapporto con un soldato tedesco addetto ai lavori di muratura. Lo sostituivo nella fatica e questo mi valse la sua gratitudine. Alle volte per andare a trovare Marisha saltavo il reticolato e rientravo per la stessa strada per essere presente alle verifiche dei presenti nel campo. Successe che una volta mi videro mentre tornavo e rischiai una punizione severa, forse anche la fucilazione. Fu il mio amico tedesco che parlo’ con il suo capitano e lo convinse a non procedere oltre. Era ormai la fine della guerra ed i tedeschi, sconfitti, fuggirono dal campo lasciandoci liberi. Non ebbi il tempo di salutare Marisha come avrei desiderato.

 

LA  LIBERAZIONE E IL RITORNO A CASA

Ci incamminammo per le strade pericolose perché  gli aerei americani . Quando finalmente i loro reparti ci raggiunsero fummo trattati con dignità e liberati dopo poco tempo. Con il treno raggiungemmo prima il Brennero e poi Verona. Da qui altri treni condussero ciascuno di noi a destinazione. Negli anni della prigionia non avevo avuto notizie dalla famiglia ne’ avevo potuto darne. Il mio arrivo a Sambiase fu una sorpresa.  Durante il  percorso dalla stazione di Sant’ Eufemia alla cittadina incontrai mio cognato e mio fratello e con loro raggiunsi mio padre,  casa mia e la fidanzata che già avevo , ecco perché non sono rimasto in Polonia!

IL seguito fu la ripresa della vita normale e la ricostruzione del tratto disperso dell’ esistenza.

Signor Gaetano qual è il ricordo più intenso della sua esperienza della guerra?

Il volto di quei marinai scesi nella fossa per essere fucilati, è un dolore che vive dentro di me e non passerà mai!


 

[1] art.1, commi 1271-1276, legge n°296 del 2006

 

[2] Nel 1982 il presidente Pertini  ruppe il nostro imbarazzo  sull’ evento  recandosi in visita di Stato nell' isola per esaltare i caduti italiani di Cefalonia e della vicina Corfù. E pochi mesi prima il governo della Repubblica (premier Cossiga) aveva inviato il ministro della Difesa a presiedere una manifestazione di massa a San Pellegrino, in Lombardia, per rievocare la tragedia delle isole ioniche. Era in quegli anni che cercavamo di restituire alla Resistenza il suo carattere di lotta nazionale al di sopra di ogni aspetto ideologico. Non era facile. Cefalonia ha sempre fatto discutere. Era il primo vero atto della nostra guerra di Liberazione (assieme alla resistenza nel Dodecanneso) e questo non rientrava nello schema storiografico prevalente

 

[3] V. immagine allegata n 1

 

MarioSaccà

 

 

 

 

 

 

 

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